In materia di pianificazione urbanistica, è escluso l’interesse al ricorso nell’ipotesi in cui il ricorrente non abbia fornito un’adeguata dimostrazione circa i danni patrimoniali subiti e, in generale, circa il deterioramento delle condizioni di vita generati dalla nuova destinazione urbanistica assegnata ad un’area viciniore rispetto a quella di sua proprietà.
Questo consolidato orientamento del Consiglio di Stato è stato di recente ribadito dalla sezione quarta di Palazzo Spada con la sentenza n. 3433/2015 depositata il 9 luglio.
NON BASTA LA VICINANZA A GIUSTIFICARE IL RICORSO. Qualora l’oggetto della contestazione sia la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, “il criterio della vicinitas non è sufficiente a fornire le condizioni dell’azione, dal momento che non esaurisce gli ulteriori profili di interesse all’impugnazione. Soccorre, in tali evenienze, il principio per cui per proporre impugnativa è necessario che la nuova destinazione urbanistica che concerne un’area non appartenente al ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area viciniore o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente, dovendo di tanto l’interessato fornire se non una rigorosa dimostrazione, almeno idonei principi di prova” (Cons. Stato, Sez. IV, 15 novembre 2011, n. 6016; nello stesso senso, più di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2012 n. 3137; id. 23 giugno 2015 n. 3180).
In tal modo, spiega Palazzo Spada, viene esclusa l’ammissibilità di ricorsi strumentali o con finalità meramente ostruzionistiche e dilatorie, agevolando la speditezza dell’azione di pianificazione urbanistica dell’Amministrazione.