Dato che “il panorama costituisce un valore aggiunto ad un immobile, che ne incrementa la quotazione di mercato e che corrisponde ad un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, la sua lesione, derivante dalla sopraelevazione o costruzione illegittima di un fabbricato vicino, determina un danno ingiusto da risarcire”.
Lo ha ribadito la quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 362/2015 depositata il 27 gennaio.
LA SENTENZA DEL '96 DELLA CASSAZIONE. Palazzo Spada ha in proposito richiamato la sentenza n. 3679/1996 della Corte di Cassazione (sez. II), secondo la quale “il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati standard edilizi a norma dell’art. 872 c.c., costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito”.
IL DIRITTO AL PANORAMA. Il “diritto al panorama”, di matrice prevalentemente pretoria, viene ricondotto nell’ambito delle norme del Codice Civile inerenti alle distanze, alle luci e alle vedute (artt. 900 - 907 c.c.). Il Consiglio di Stato ha ricordato che in tema di diritto al panorama, la Cassazione ha chiarito che si è in presenza di una “servitù altius non tollendi nella quale l’utilitas è rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante viene ad essere dotato per il fatto che essa attribuisce ai suoi proprietari il godimento di una particolare visuale, esclusa essendo la facoltà del proprietario del fondo servente di alzare costruzioni o alberature - quand’anche per altri versi consentite - che pregiudichino o limitino tale visuale. La servitù in questione è una servitù negativa, perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso” (Corte Cass., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250).