La distanza tra fabbricati (di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968) va computata in maniera lineare e non radiale e tale distanza deve concernere pareti finestrate, anche di diversa altezza; non può invece ritenersi sussistente l’obbligo di rispetto della predetta distanza fra pareti che non si fronteggiano.
Lo ha ribadito il Tar Lombardia (Sezione Quarta) nella sentenza n. 2227/2024 pubblicata il 18 luglio. In tale sentenza il Tar Milano richiama le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione, sez. II, nell’ordinanza n. 28147 del 27 settembre 2022.
I chiarimenti della Cassazione
Nel rispondere al quesito se, ai fini dell'applicazione della distanza minima assoluta di dieci metri di cui all’art. 9 D.M. 1444/1968, la nozione di edifici antistanti comprenda sempre anche il caso in cui la parete finestrata dell'uno non fronteggi la parete dell'altro, bensì prospetti uno spazio libero (poiché quest'ultima rimane ad un'altezza inferiore), e dunque l'obbligo di rispettare tale distanza sussista anche quando le pareti siano aderenti l'una all'altra lungo tutto il fronte comune (cioè, senza intercapedini residue) e l'una si arresti in altezza al di sotto della soglia inferiore della/e finestra/e (con conseguente e corrispondente obbligo di arretrare il fronte della parete superiore finestrata), la Suprema Corte ha chiarito che “L'obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, previsto dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, vale anche quando la finestra di una parete non fronteggi l'altra parete (per essere quest'ultima di altezza minore dell'altra), tranne che le due pareti aderiscano in basso l'una all'altra su tutto il fronte e per tutta l'altezza corrispondente, senza interstizi o intercapedini residui”.
Ciò in quanto “La finalità del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, è di salvaguardare l'interesse pubblico sanitario (cfr. Cass. 20574/1997) alla salubrità dell'affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano, quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata (cfr. Cass. SU 1486/1997), a prescindere dal fatto che quest'ultima sia costruita prima o dopo l'altra parete (cfr. Cass. 13547/2011). Strumento ne è il rispetto di una distanza minima, tale da garantire la circolazione d'aria e la irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrità di affaccio. La nozione di "antistanza" o "frontalità" (se si potesse dir così) va riferita e circoscritta a (porzioni di) pareti che si fronteggiano e pertanto presentano, ove non distanziate adeguatamente, un problema di circolazione d'aria e/o d'irradiazione di luce insufficienti, con un pericolo concreto che si crei un'intercapedine nociva. Ove le pareti si fronteggino solo per un tratto - perché di diversa estensione orizzontale, verticale o non perfettamente parallele, il rispetto della distanza D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 9, deve essere assicurato entro (e solo entro) le porzioni di pareti antistanti, nell'accezione predetta (cfr. Cass. 4639/1997). In altre parole, la distanza di 10 metri - che è misurata in modo lineare (e non radiale, come accade invece rispetto alle vedute: cfr. Cass. 9649/2016) - va rispettata entro il segmento delle pareti tale che l'avanzamento (ideale, meramente pensato) dell'una la porti ad incontrare l'altra, sia pure in quel segmento (cfr. Cass. 4175/2001)”.
Consiglio di Stato: la distanza va computata in maniera lineare e non radiale
Inoltre, il Tar Lombardia ricorda che anche la giurisprudenza amministrativa ha da tempo evidenziato che la distanza tra fabbricati di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968 va computata in maniera lineare e non radiale e che tale distanza deve concernere pareti finestrate, anche di diversa altezza (v. di recente Cons. Stato, sez. IV, 17/11/2023, n. 9872); non può invece ritenersi sussistente l’obbligo di rispetto della predetta distanza fra pareti che non si fronteggiano (ossia, ipotizzando una prosecuzione ideale delle pareti antistanti) (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023 n. 6438; Sez. II, 10 luglio 2020 n. 4465).
Il caso di specie
Declinando i suddetti principi al caso di specie, secondo il Tar Milano deve ritenersi che la circostanza che l’immobile di proprietà del ricorrente e il manufatto controverso siano posti a livelli diversi non sia idonea ad escludere la situazione di “frontistanza” di cui all’art. 9 D.M. 1444/1968, con conseguente sussistenza dell’interesse e della legittimazione del ricorrente a lamentarne la violazione.