Sentenze

Distinzione tra sottoprodotti e rifiuti, chiarimenti dalla Cassazione

La mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di disfarsene e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce che esso possa essere qualificato come sottoprodotto

mercoledì 4 ottobre 2017 - Redazione Build News

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“Sottoprodotti son sempre stati quelle sostanze o quegli oggetti dei quali sin dall'inizio sia certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo nel medesimo ciclo produttivo o alla loro utilizzazione da parte di terzi (art. 183, comma 1, lett. n, d.lgs. 152/2006, nella sua versione originaria; art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4; art. 184-bis, d.lgs. 152/2006, introdotto dall'art. 12, d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205).”

Lo ricorda la terza sezione penale della Corte di cassazione nella sentenza n. 41607/2017 pubblicata il 13 settembre.

La certezza oggettiva del riutilizzo, evidenzia la suprema Corte, “esclude a monte l'intenzione di disfarsi dell'oggetto o della sostanza (così espressamente art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4)” e “concorre, insieme con le ulteriori condizioni previste dalle norme definitorie che si sono succedute nel tempo, a escluderlo dall'ambito di applicabilità della normativa sui rifiuti. La mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di «disfarsene» e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come «sottoprodotto». Il deposito di rifiuti da demolizione in attesa di un loro eventuale riutilizzo denunzia ex se la mancanza della iniziale certezza del loro riutilizzo prima ancora della loro produzione”.

La Cassazione precisa inoltre che il reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 “può essere consumato da chiunque ponga in essere una delle condotte in detta norma previste, non necessariamente solo da chi svolga in modo esclusivo e prevalente le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, e così via. Come costantemente insegnato da questa Corte, il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione (art. 256, D.Lgs. n. 152 del 2006), non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa”.

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