La Corte costituzionale ha pubblicato un comunicato stampa che sintetizza la sua recente sentenza n. 63/2016 sulla legge lombarda per gli edifici di culto, giudicata dalla Consulta in parte incostituzionale e in parte interpretabile secondo Costituzione.
“Nel 2015 – spiega il comunicato della Corte costituzionale - la Regione Lombardia ha modificato la propria legge per il governo sul territorio, nelle parti dedicate alla realizzazione di edifici di culto. Ha modificato, in particolare, le condizioni per l’applicabilità di tali norme agli enti delle confessioni diverse da quella cattolica; nonché le regole sulla pianificazione urbanistica degli edifici di culto, demandata a un nuovo e apposito “piano delle attrezzature religiose”.
Il Governo ha impugnato diversi punti della normativa regionale, risultante dalle modifiche del 2015.
PRINCIPIO DI LAICITÀ. Pronunciandosi sugli otto motivi di ricorso, la Corte costituzionale ha anzitutto ribadito che il principio di laicità implica non indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì impegno a salvaguardare la libertà di religione, in una situazione di pluralismo confessionale e culturale; che il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione ed è riconosciuto egualmente a tutti, e a tutte le confessioni religiose, a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo Stato; che l’apertura di luoghi di culto, a sua volta, è forma e condizione essenziale del pubblico esercizio del culto.
La Corte costituzionale ha giudicato non compatibili con tali principi e discriminatorie le condizioni che la legge regionale lombarda ha stabilito per l’applicabilità delle norme sugli edifici di culto agli enti delle confessioni non cattoliche e prive di intesa. La legge regionale prevedeva un regime diverso per la Chiesa cattolica e le confessioni religiose con intesa, da una parte, e le confessioni religiose senza intesa, dall’altra: solo per queste ultime confessioni si stabiliva che le norme sugli edifici di culto fossero loro applicabili a condizione che possedessero alcuni requisiti non richiesti alle altre confessioni religiose: una presenza “diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale”, un “significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi”, statuti che esprimessero la finalità religiosa degli enti e “il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione”. Il possesso di questi requisiti doveva essere vagliato anzitutto nei pareri di una apposita consulta regionale, da nominarsi da parte della Giunta regionale e non ancora istituita dopo più di un anno dall’entrata in vigore della legge. Tutte queste norme sono state giudicate costituzionalmente illegittime, per violazione sia del principio di eguaglianza nella libertà di religione e di culto, che non ammette discipline restrittive solo per le confessioni senza intesa, sia del divieto per la legge regionale (che pure può disciplinare l’edilizia, anche di culto) di entrate nel merito dei rapporti tra la Repubblica e le singole confessioni religiose.
LA REVOCA È UN RIMEDIO ESTREMO. La Corte ha poi considerato la norma che, con riguardo alla convenzione urbanistica che le confessioni non cattoliche devono stipulare con i Comuni, consente la risoluzione o revoca in caso di accertamento da parte del Comune di attività non previste nella convenzione stessa. La norma non è stata giudicata illegittima, purché interpretata e applicata in modo ragionevole e proporzionato: la revoca è un rimedio estremo, da attivare solo in assenza di mezzi alternativi ugualmente idonei a tutelare l’interesse pubblico, ma meno severi nei confronti del libero esercizio del culto.
LA SICUREZZA È MATERIA RISERVATA ALLA COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO. In merito al piano delle attrezzature religiose, le nuove norme del 2015 prevedevano che, prima della sua approvazione, fosse eseguita una specifica istruttoria sui possibili problemi di ordine pubblico, coinvolgendo comitati di cittadini e forze dell’ordine; e che, comunque, il piano stesso dovesse imporre in ogni nuovo luogo di culto capillari sistemi di video-sorveglianza degli accessi, collegati con le forze di polizia. Pur ribadendo che anche la libertà di religione e di culto ha i suoi limiti e che essa va tutelata in modo compatibile con le esigenze di sicurezza, ordine pubblico e protezione della pacifica convivenza, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittime le norme regionali, le quali esulavano dalle competenze regionali e assurgevano a veri e propri indirizzi di politica della sicurezza, materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
RISPETTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PAESAGGIO LOMBARDO. Ancora con riguardo al piano delle attrezzature religiose, le nuove norme regionali richiedono che esso rispetti la “congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto” con le caratteristiche del paesaggio lombardo, individuate nel piano territoriale regionale (PTR). Anche in questo caso, la Corte ha ritenuto le norme non illegittime, purché interpretate nel senso che il rispetto delle caratteristiche del paesaggio lombardo coincida con il rispetto del piano territoriale regionale, per evitare applicazione arbitrarie di tale disposizione.
Altre questioni sono state considerate inammissibili e non sono state esaminate nel merito. Ciò è accaduto: a) per i problemi di compatibilità tra le norme regionale e i principi internazionali ed europei che tutelano la libertà di religione e vietano discriminazioni in base alla religione; b) per il richiamo alla possibilità, per i Comuni, di indire referendum locali sul piano delle attrezzature religiose; c) per la questione che lamentava che l’approvazione del piano fosse facoltativa”.