Per costante giurisprudenza, l’atto di esercizio della prelazione, in ordine alle alienazioni di beni di interesse storico-artistico, necessita sì di congrua motivazione che dia conto degli interessi pubblici attuali all'acquisizione del bene, ma non richiede un particolare rigore nella puntuale definizione degli scopi cui il bene stesso è destinato.
Lo ha ribadito la sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2913/2015 depositata il 15 giugno.
LA PRELAZIONE PRESUPPONE CHE L'ACQUISIZIONE DEL BENE NE CONSENTA UNA MIGLIORE TUTELA. Per la prelazione della P.A. su edifici di interesse storico-artistico non si esige una puntuale e rigorosa definizione degli scopi cui sono destinati (Cons. St., VI, 30 settembre 2004, n. 6350 e 29 maggio 2012, n. 3209) in quanto “la prelazione stessa, essendo prevista in un'ottica di tutela del patrimonio storico-artistico nazionale, presuppone che l'acquisizione del bene al patrimonio statale ne consenta una migliore tutela, e in particolare, una migliore valorizzazione e fruizione del pregio” (Cons. St., VI, 21 febbraio 2001, n. 923).