Il Consiglio dei Ministri, nella riunione di ieri, ha impugnato alla Corte Costituzionale la Legge della Regione Molise n. 7 del 14/04/2015, recante “Disposizioni modificative della legge regionale 11 dicembre 2009, n. 30 (Intervento regionale straordinario volto a rilanciare il settore edilizio, a promuovere le tecniche di bioedilizia e l’utilizzo di fonti di energia alternative e rinnovabili, nonché a sostenere l’edilizia sociale da destinare alle categorie svantaggiate e l’edilizia scolastica)”.
Secondo il Governo questa legge regionale presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento ad alcune disposizioni (art. 2, comma 1, lettere g) ed i); art. 4, comma 1, lettera g); art. 18, comma 2) che, nel dettare deroghe generalizzate al rispetto delle distanze previste dal d.m. n. 1444/1968, invadono la potestà legislativa esclusiva statale nella materia “ordinamento civile” (e quindi violano l’art. 117, comma 2, lett. l), e contrastano con i principi fondamentali dettati dallo Stato nella materia “governo del territorio” (e quindi violano l’art. 117, comma 3, Costituzione).
Ulteriori profili di incostituzionalità sono rilevati con riferimento all’articolo 17, che inserisce dopo l'articolo 14-bis della legge regionale n. 30/2009 l’articolo 14-ter (“Interventi per favorire il rilancio del settore edilizio nelle località a forte attrazione turistica”), che si pone in contrasto con le norme in materia di pianificazione paesaggistica contenute nel d.lgs. n. 42/2004, e pertanto viola l’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
LE DISPOSIZIONI CONTESTATE. Le norme censurate, in particolare, prevedono:
- all’articolo 2, comma 1, lettera g) (che sostituisce l’art. 2, comma 5, della l.r. n. 30/2009), una deroga al rispetto delle distanze previste dall’articolo 9 del d.m. n. 1444/1968 per gli ampliamenti in sopraelevazione degli edifici esistenti;
- all’articolo 2, comma 1, lettera i) (che sostituisce l’art. 2, comma 8, della L.R. n. 30/2009), la deroga agli strumenti urbanistici vigenti rispetto “all’altezza massima e alle distanze dai confini e dai fabbricati, fermo restando quanto stabilito dal codice civile”, dunque senza richiamare il rispetto delle norme in materia di distanze contenute nel d.m. 1444/1968;
- all’articolo 4, comma 1, lett. g) (che modifica l’articolo 3, comma 7, primo e secondo periodo della L.R. n. 30/2009), che gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, nonché sulla medesima area di sedime, non configurano la fattispecie di nuova costruzione al fine del calcolo delle distanze tra edifici, anche di quelle previste dall'articolo 9 del D.M. n. 1444/1968; analoga previsione è dettata le aree prospicienti le strade pubbliche, anche in caso di demolizione e ricostruzione e/o sopraelevazione.
- all’articolo 18, comma 2, l’applicabilità delle disposizioni in esame anche ai procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore della legge in esame, per i quali non sono ancora stati versati gli oneri concessori. Tale norma può consentire di legittimare ex post interventi illecitamente realizzati nella vigenza della precedente legge regionale in deroga alle distanze minime stabilite dall’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968. In questo modo, sarebbero travalicati i limiti indicati dalla Corte Costituzionale in materia di condono edilizio (sentenze nn. 225/2012 e 290/2009).
I RILIEVI DEL GOVERNO. Queste previsioni per il Governo contrastano con l’articolo 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che attribuisce alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano la facoltà di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. n. 1444/1968 “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Tale previsione, che recepisce consolidata giurisprudenza costituzionale, va intesa nel senso che, ferma restando la competenza legislativa statale esclusiva sulla disciplina delle distanze minime tra costruzioni, ascrivibile alla materia dell’ordinamento civile (sentenze n. 6 del 2013, n. 114 del 2012, n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011), alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, ma unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. La legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è quindi legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Ciò è stato ribadito, da ultimo, nella recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 134 del 2014.
Nel caso di specie, non ricorre quella finalizzazione urbanistica dell’intervento regionale, intesa alla costruzione di un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, che costituisce l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa regionale. Infatti, che le deroghe alle distanze previste dalla normativa in esame operano in deroga agli strumenti urbanistici e che, in base al comma 11-bis dell’articolo 2 della L.R. n. 30/2009, nonché secondo quanto previsto al comma 7-bis dell’articolo 3 della stessa legge (non modificati dalla L.R. in esame), l’applicabilità delle norme di cui al comma 8 dell’articolo 2 e al comma 7 dell’articolo 3 della L.R. n. 30/2009, fatta eccezione per i centri storici, non può essere oggetto di esclusione da parte dei Comuni (comma 3, articolo 11 della medesima L.R. n. 30/2009).
Pertanto, le disposizioni censurate devono essere ritenute invasive della competenza statale in materia di “ordinamento civile” e dei principi fondamentali della legislazione statale in materia di “governo del territorio” e devono essere impugnate ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
PIANI PAESISTICI ESECUTIVI DI AMBITO (PPE). Con riferimento all’articolo 17, la disposizione censurata prevede che entro il 31 maggio 2016, la Giunta regionale adotta i Piani Paesistici Esecutivi di ambito (PPE) di cui all'articolo 11 della legge regionale 1 dicembre 1989, n. 24. Nelle more, fermo restando l'obbligo di richiedere l'autorizzazione di cui all'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, consente, nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, la realizzazione di interventi edilizi a valore strategico finalizzati alla ripresa del turismo e ad incrementare la competitività del sistema di offerta nelle aree a forte attrazione turistico-ricettiva.
Nel rinviare all’adozione dei “Piani Paesistici Esecutivi di ambito (PPE)” che, essendo regolati da una normativa risalente al 1989, non tengono conto delle novità in materia di pianificazione paesaggistica introdotte dalla normativa statale con il d.lgs. n. 42/2004 e, in particolare, non contemplano il necessario coinvolgimento degli organi ministeriali competenti nella formazione dei piani paesaggistici e nell’adeguamento degli altri strumenti urbanistici alle disposizioni ivi contenute come previsto dagli articoli 135 e 143 del suddetto d.lgs. n. 42/2004, la disposizione impugnata viola l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.
EDILIZIA, IMPUGNATA ANCHE LA LEGGE N. 16/2015 DELLE MARCHE. Il Consiglio dei ministri di ieri ha impugnato anche la Legge Regione Marche n. 16 del 13/04/2015, “Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”, in quanto una norma in materia di edilizia viola sia l’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile, sia l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, contrastando con i principi fondamentali in materia di governo del territorio.
L’articolo 10 sostituisce, al comma 1, l'articolo 35 della Legge regionale 33/2014. Il nuovo testo di tale articolo 35, stabilisce che “In attuazione dell'articolo 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), gli edifici esistenti, che siano oggetto di interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di accorpamento (ovvero) e di ogni (altra) trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente, possono essere demoliti e ricostruiti all'interno dell'area di sedime o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all'articolo 9 del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, fermo restando il rispetto delle norme del codice civile e della disciplina di tutela degli edifici di valore storico, architettonico e culturale. Gli eventuali incentivi volumetrici (riconosciuti) consentiti (per l'intervento, ai sensi della) dalla normativa regionale vigente, possono essere realizzati con la sopraelevazione dell'edificio originario, anche in deroga ai distacchi dai confini e dai limiti di zona prescritti dagli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti ed in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, nonché con ampliamento fuori sagoma dell'edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all'articolo 9 del medesimo decreto o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, dai corrispondenti confini interni e limiti di zona se inferiori.
LE CENSURE DI PALAZZO CHIGI. L’esame comparato dell’attuale testo con quello previgente (posto tra parentesi) evidenzia i rilievi che la nuova stesura della disposizione in commento antepone rispetto alla normativa nazionale, oltre che rilievi di incostituzionalità.
In proposito, si evidenzia che, dal dato letterale della riformulazione del predetto articolo, con la sostituzione della parola “ovvero” con la parola “e” e la soppressione della parola “altra”, il significato della norma, rispetto alla precedente formulazione, assume una diversa valenza. Ciò, in quanto l’inciso “edifici esistenti, che siano oggetto di interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di accorpamento”, non più collegato ad ipotesi di “trasformazione”, può ora essere riferito anche ad interventi di carattere puntuale. Ne consegue che la disciplina derogatoria ai limiti di distanza fissati dall’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968 è estesa anche ad interventi su singoli edifici non oggetto di un più ampio intervento di trasformazione.
L’articolo 2-bis del D.P.R. n. 380/2001, infatti, attribuisce alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano la facoltà di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. n. 1444/1968 “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
L’articolo 35 della legge Marche n. 33/2014, novellato dal comma 1 articolo 10 della legge in parola, non risulta più conforme all’articolo 2-bis del dPR 6 giugno 2001, n. 380, poiché rende possibile qualsiasi intervento di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, a prescindere da un più ampio intervento di trasformazione “funzionale a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
LA CONSULTA SULLE DISTANZE MINIME TRA COSTRUZIONI. Quanto precede anche nell’ottica dell’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 134 del 2014. Per consolidata giurisprudenza, la Corte Costituzionale, da ultimo nella predetta sentenza n. 134 del 2014, ha ribadito che la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella competenza legislativa statale esclusiva (in materia di ordinamento civile articolo 117, comma 2, lettera l) della Costituzione), e che alle regioni, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, è comunque consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, anche se unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. In particolare, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha precisato che il principio in base al quale “le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” è stato sostanzialmente recepito dal legislatore statale con l’articolo 2-bis del TUE.
Tenuto conto dei dicta del Giudice delle leggi, in relazione alla disposizione regionale in commento, si rileva che non ricorre nella specie la richiesta finalizzazione urbanistica dell’intervento regionale intesa alla costruzione di un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, che costituisce l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa regionale.