Sentenze

Edilizia: quando i vicini possono impugnare i titoli abilitativi

Il criterio della vicinitas sotto la lente del Consiglio di Stato

martedì 22 marzo 2016 - Redazione Build News

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Con la sentenza n. 1156/2016 depositata il 21 marzo, la sesta sezione del Consiglio di Stato ribadisce che “l’azione di annullamento proposta innanzi al giudice amministrativo è subordinata alla sussistenza di tre condizioni: a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa; b) l’interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 Cod. proc. civ.; c) la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo”.

Per pacifica giurisprudenza la legittimazione dei soggetti terzi, non direttamente destinatari del provvedimento, è riconosciuta nel settore dell'edilizia “in base al criterio cosiddetto della vicinitas, ovvero in caso di stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio; quanto al pregiudizio della situazione soggettiva protetta dei medesimi soggetti terzi, il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide se non sulla visuale, quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi; solo in rapporto alle scelte di pianificazione urbanistica, invece, si richiede che i titolari di aree limitrofe, non direttamente incise dalla nuova disciplina, diano riscontri probatori del danno riconducibile al godimento, o al valore di mercato, dell’area su cui insistano gli immobili dai medesimi posseduti, per effetto della nuova normativa”.

“Nella generalità dei casi descritti”, precisa Palazzo Spada, “la legittimazione del terzo ad impugnare gli atti riferibili a nuove edificazioni, prossime a quelli dai medesimi posseduti, risponde con ogni evidenza ai profili di legittimazione – sia ad causam che ad processum – in precedenza indicati, poiché l’Amministrazione – nel disciplinare l’edificabilità dei suoli o nell’autorizzare singoli interventi – vede potenzialmente contrapposti ai propri atti gli interessi legittimi non solo dei diretti destinatari degli atti stessi, ma anche dei terzi (proprietari o detentori qualificati di aree o immobili limitrofi) che sono direttamente tutelati dai limiti imposti all’esercizio di ius aedificandi e che hanno, pertanto, una posizione differenziata rispetto agli altri appartenenti alla collettività, in ordine al rispetto di tali limiti”.

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