L’area dove si riscontra una più alta incidenza del contagio da coronavirus nel nostro Paese, una parte significativa della Lombardia, e in generale, ad allargare il raggio, la pianura padana, è anche quella “storicamente” alle prese con la piaga dell’inquinamento. Il combinato disposto della significativa presenza di industrie e di elevata presenza insediativa, assieme alle particolari condizioni ambientali, costringono da sempre le città di questa vasta area del Nord Italia al costante monitoraggio dei valori delle emissioni, rendendo periodicamente necessarie per le amministrazioni misure di contenimento, su tutte i blocchi del traffico. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che tra inquinamento e facilità di contagio ci potesse essere una qualche correlazione, diretta o indiretta.
Carlo Gasparrini, componente della Giunta esecutiva dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, responsabile del cluster delle community “Reti e infrastrutture”, spiega: “Ho ascoltato queste ipotesi, ma ricordiamoci che si tratta di un rapporto non dimostrato. Francamente non so se si tratti di un problema di sofferenze polmonari accumulate nel corso dei decenni legate alle modalità di degrado e sofferenza a causa dell’inquinamento. Se fosse così, come si spiegherebbe il numero elevato di contagiati anche dove il tasso di inquinamento è più contenuto, come le valli della provincia di Bergamo? Senza contare che tutto è partito da piccoli Comuni dove la qualità dell’aria è migliore. Ritengo perciò che sia azzardato pensare di affrontare ed esaminare la questione del contagio, e delle possibili soluzioni, da questo punto di vista. Questo naturalmente non deve sminuire la portata dei problemi legati alla qualità dell’aria, e la necessità di lavorare per costruire una qualità ecologica più elevata”. Si torna perciò a quello che è un ambito in cui Gasparrini è stato molto impegnato negli ultimi anni, quello del rafforzamento nelle nostre città delle cosiddette infrastrutture verdi e blu, utili a intensificare la “porosità”, far circolare meglio l’aria, produrre ossigeno.
Per quanto riguarda la questione coronavirus Gasparrini solleva invece una riflessione che non è stata avanzata sui mass media generalisti, un’ipotesi che esplora un altro probabile “propagatore” del contagio, ovvero le caratteristiche dell’assetto del territorio colpito in prevalenza e in prima battuta nel nostro Paese: “Colpisce che in Cina l’area di Wuhan, pur contando il ragguardevole numero di 17 milioni di abitanti, insista su un territorio molto concentrato. La nostra area di contagio, intendo quella per così dire quella principale, è invece ‘spalmata’ su un territorio ampio. Questo significa che quando scoppia un’epidemia in quella che si configura come una vera e propria città diffusa, in cui è difficile persino stabilire dove finisce un paese e ne inizia un altro, la propagazione del virus è rapidissima, difficile da contrastare. Ci sono delle caratteristiche di cui tenere conto, le mille traiettorie del pendolarismo casa-lavoro, del consumo, della scuola, del tempo libero e del divertimento giovanile anche notturno interessano un territorio urbanizzato molto vasto, senza soluzione di continuità e racchiuso in tempi di spostamento molto ridotti, quindi fortemente predisposto alla propagazione dell’infezione, a differenza di Wuhan dove la concentrazione della popolazione consente un controllo più facile”. Una ulteriore conferma perciò del fatto che “la vulnerabilità è innanzitutto quella territoriale, causata dai modi in cui è stata costruita questa ‘città esplosa’ e quindi dal suo impressionante consumo di suolo”. (fonte: Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica)