Si è svolta il 25 settembre scorso l’audizione dell’ANCE presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla normativa che regola la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste).
Il Vicepresidente Ance per Edilizia e Territorio, Filippo delle Piane, che ha guidato la delegazione associativa, ha evidenziato, in premessa, come la questione della sostenibilità ambientale e con essa il tema dell’economia circolare siano da anni al centro del panorama normativo, culturale e sociale, non solo a livello nazionale, ma anche europeo e più in generale internazionale. In tale ultima sede, ha ricordato l’approvazione di importanti documenti programmatici, linee guida, protocolli e direttive normative che impongono, spesso, obiettivi specifici, ma soprattutto obbligano ad affrontare questi temi e a predisporre gli strumenti necessari per attuare la cd. circolarità delle risorse, in sostituzione di quella che sino ad ora o comunque sino a poco fa è stata una economia lineare, ossia finalizzata al solo consumo.
In particolare, a livello europeo, il cd. “Pacchetto economia circolare”, approvato lo scorso anno, ribadisce specifici e stringenti obiettivi in termini di riduzione nella produzione dei rifiuti, ma soprattutto fornisce importanti indicazioni per l’attuazione di uno dei pilastri dell’economia circolare: l’end of waste.
La nuova Direttiva Europea in materia di rifiuti, 851/2018/UE, infatti, chiarisce e declina le condizioni in funzione delle quali un rifiuto cessa di essere tale e, cosa che rileva ancora di più, riconosce la possibilità di adottare decisioni “caso per caso” in assenza di specifiche normative a livello europeo e nazionale.
Tutto ciò al fine di assicurare un uso, il più efficace ed efficiente, possibile delle risorse, garantendo la transizione ad una economia sempre più circolare.
A livello nazionale, ha ricordato, altresì, i diversi interventi normativi che si sono susseguiti, a partire dal decreto 203 del 2003 con cui era stata introdotta una modifica all'allora Codice dei rifiuti, D.Lgs. 22/1997, prevedendo che negli appalti pubblici di lavori e di servizi almeno il 30% dei materiali impegnati derivasse da processi di recupero. Per il settore delle costruzioni la circolare attuativa ministeriale giunse nel luglio 2005 e le imprese iscritte, pur a fronte delle numerose domande pervenute, furono pochissime e per alcune non ci fu nemmeno risposta. Da allora ad oggi a grandi proclami e slogan politici non hanno fatto seguito strumenti normativi in grado, davvero, di promuovere l’adozione di sistemi basati sulla circolarità delle risorse. Anzi il panorama normativo italiano, mutevole ed instabile, sembra connotarsi per una tendenza ad affrontare questioni tecniche e delicate con superficialità “normativa”, senza tenere conto della velocità a cui si muovono i settori e i procedimenti industriali con la conseguenza di ingenerare nuove e maggiori incertezze tra gli operatori, nonché alla fine di creare provvedimenti superati, inutili e complicati e quindi controproducenti.
Ha, quindi, evidenziato come il tema dell’end of waste investa, a vario modo e titolo, tutto il mondo imprenditoriale e quindi anche le imprese di costruzione, nella duplice veste di produttori di una delle categorie di rifiuti di maggior rilievo e di utilizzatori di prodotti “recuperati”.
Al riguardo, l’Ance ha seguito a lungo il processo che ha portato alla definizione dei criteri per gestire il fresato d’asfalto come end of waste e, negli ultimi due anni, ha collaborato con il Ministero dell’Ambiente per provare a definire le condizioni per fare rientrare nel ciclo produttivo i materiali da demolizione e costruzione.Le risposte fornite dal legislatore sono state, però, in entrambi i casi, inadeguate nei contenuti e nei tempi, rispetto alle esigenze del mondo imprenditoriale, che ha necessità di poter disporre di regole chiare, certe e stabili nel tempo, in grado di rappresentare un punto di riferimento nel cui ambito poter operare. In particolare, riguardo alla gestione dei materiali da demolizione, la disciplina ancora in fase di stesura presenta numerose criticità, in quanto si rischia, anche in questo caso, di introdurre norme e procedure “insostenibili” e quindi controproducenti. A ciò si aggiunga che si tratta di un testo su cui si discute da oltre due anni e ancora non è giunto alla sua stesura definitiva.
Inoltre, dopo oltre 10 anni da quanto l’istituto dell’end of waste è stato introdotto nel nostro ordinamento, sono stati adottati decreti attuativi solo per 3 tipologie di rifiuti industriali.Nel frattempo, per sopperire alle mancanze della politica si è fatto ricorso a vie e strumenti alternativi, ossia autorizzazioni “caso per caso”, rilasciate dalle autorità competenti, pur sempre, in materia ambientale, quali Regioni e Province.
Un meccanismo che, in assenza di norme di riferimento nazionali, ha comunque consentito al nostro Paese di competere, a livello europeo, con gli altri Stati Membri nel difficile e complesso processo di transizione verso una economia circolare.
Tale procedura, però, è stata messa in discussione da una sentenza, dello scorso anno, del Consiglio di Stato, che ha riconosciuto esclusivamente in capo allo Stato - e quindi non alle Regioni o per delega alle Province - la competenza di definire le condizioni per l’applicazione dell’end of waste.
Ciò ha determinato e sta determinando in alcune aree una situazione di vera e propria paralisi. Nell’incertezza normativa e in attesa di un chiarimento da parte del legislatore non solo non sono state concesse nuove autorizzazioni, ma anzi sono stati, sin da subito, bloccati i rinnovi e le modifiche/varianti a quelle già rilasciate.
Anche la norma inserita, da ultimo, nel decreto cd. sblocca-cantieri (d.l. 32/2019) non ha risolto la situazione di stallo, ma anzi ha ingenerato nuovi dubbi ed incertezze. Basti pensare che nei giorni scorsi la Provincia di Brescia ha preannunciato, nell’incertezza normativa, la revoca di più di 100 autorizzazioni alle attività di recupero di rifiuti, di cui oltre 70 riguardano impianti che operano per il settore delle costruzioni. Da tutto ciò consegue, non solo la chiusura di attività produttive, il licenziamento di personale anche qualificato, ma anche il conferimento “altrove” dei rifiuti che produciamo, con tutti i relativi maggiori costi economici nonchè ambientali.
È evidente, quindi, che in assenza di un intervento normativo, nel breve periodo, si rischia il blocco totale delle operazioni di recupero e a cascata si potrebbe ipotizzare anche quello dei settori collegati, compreso quello dell’edilizia già duramente provato.
In conclusione, il Vice Presidente ha rilevato la necessità di affrontare il tema dell’end of waste e quindi dell’economia circolare secondo un nuovo approccio, più consapevole delle difficoltà pratiche e soprattutto “sistemico”, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti a vario modo interessati. Nello stesso tempo, però, è fondamentale fornire, nell’immediato, agli operatori, pubblici e privati, un sistema di regole che possa loro consentire di lavorare.
Diviene allora necessario da un lato “sanare” con urgenza quanto sino ad ora è stato fatto, pur sempre nel rispetto delle indicazioni e dei criteri stabiliti a livello europeo, e dall’altro riconoscere in capo a Regioni o Province, da sempre soggetti altamente qualificati in termini ambientali, la facoltà di intervenire per superare le inerzie e le mancanze normative della legislazione nazionale ed europea.
In questo senso è necessario un intervento urgente del Ministero dell'ambiente e del Parlamento, al fine di evitare la paralisi delle attività di recupero e scongiurare il fallimento del processo di transizione verso l’economia circolare.