Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha inviato una Nota a numerosi rappresentanti istituzionali, tra cui la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Presidente di ANAC Giuseppe Busia, avente per tema la questione dell’Equo compenso. La Nota contiene una richiesta di chiarimento relativa a determinati criteri interpretativi che stanno creando notevoli difficoltà agli ingegneri e, in generale, a tutte le categorie ordinistiche che rappresentano oltre due milioni di professionisti.
Per volontà della stessa Presidente Meloni e con l’approvazione unanime di tutte le forze parlamentari è stata promulgata una legge, la n. 49/2023 (“Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”), che finalmente ha restituito dignità e tutela ai professionisti italiani. Tale norma si esprime con grande semplicità e chiarezza: si applica alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione; stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo, e comunque inferiore ai parametri ministeriali, anche all'esito di un’eventuale gara.
Nonostante questo il CNI è costretto a registrare prese di posizione incomprensibili in relazione all’errata applicazione della norma in oggetto, che sovente viene disattesa negli affidamenti regolati dal Codice dei contratti pubblici. Queste pratiche sono sempre più spesso promosse da talune Amministrazioni e da singole Associazioni di categoria. A loro sostegno diverse Amministrazioni invocano una serie di elementi ritenuti “ostativi”, quali: il principio comunitario della concorrenza, la specificità normativa del Codice, che dunque prevarrebbe rispetto alla Legge 49/23, l’immodificabilità del primo in assenza di esplicita previsione (in ragione dell’art. 227 dello stesso D.lgs. n. 36/2023), oppure il principio ratione temporis.
Inoltre, la maggioranza degli Enti che sostengono la disapplicazione della legge sull’Equo compenso – che, in base ai dati provenienti dal Centro Studi del CNI, si attestano oltre l’80% del totale –, in risposta alle contestazioni mosse dall’Osservatorio Bandi del CNI sostengono che il loro comportamento sarebbe suffragato da diversi pronunciamenti e provvedimenti dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione, che al contrario non risulta essersi espressa esplicitamente in tale direzione. Come se non bastasse, sempre più spesso si assiste ad inopportune e forzate interpretazioni di singoli stakeholder privati che, attraverso i propri organi di stampa, cercano di veicolare interpretazioni dei suddetti pronunciamenti ANAC, ben distanti dai reali contenuti.
Queste interpretazioni erronee non sembrano arrestarsi nemmeno in seguito alla recente sentenza del TAR Veneto (n. 632 del 3 aprile 2024), la quale, affrontando il tema, chiarisce quale sia la corretta interpretazione della legge in esame. In particolare, il Collegio affronta tutti gli argomenti sopra esposti (cogenza, concorrenza, e così via), concludendo con la pacifica applicazione della L. n. 49/23 ai pubblici affidamenti dei servizi di ingegneria ed architettura. Peraltro tale sentenza è perfettamente in linea con l’interpretazione che il CNI ha dato della norma fin da luglio 2023, attraverso un articolato e puntuale documento del proprio Centro Studi.
Di conseguenza, il CNI non comprende le ragioni di tale resistenza. Una lettura attenta del Codice dei contratti pubblici, così come progettato, suffraga pienamente l’applicazione dell’Equo compenso, legittimandone esplicitamente l’introduzione, dal momento che lo stesso viene enunciato tra i principi cardine della normativa (art. 8). Lo stesso Codice, peraltro, prevede che talune procedure di affidamento possano essere aggiudicate mediante procedure comparative sulla base di un prezzo fisso, ove gli operatori economici competono solo in base a criteri qualitativi (art. 108, comma 5). L’interpretazione che ha da subito reso il CNI, del tutto in linea con le due norme, consiste nel consentire la rideterminazione delle spese, a patto che resti comunque inviolato l’Equo compenso. In tal senso gli operatori economici potranno “competere” solo sulla “qualità” e quindi potranno far valere in sede d’offerta la propria capacità tecnico-organizzativa ed efficienza, a tutto vantaggio della Stazione Appaltante.
Detta interpretazione ben si sposa, oltre tutto, con il principio comunitario della concorrenza, dato che consente la ribassabilità del corrispettivo nel suo complesso, ponendo tuttavia un ragionevole limite ai ribassi, che nel recente passato sono stati utilizzati come leva per lo svilimento del lavoro di ogni singolo operatore economico impegnato nelle procedure ad evidenza pubblica. Ciò nonostante, il CNI ha registrato argomentazioni assolutamente errate e pretestuose quali, ad esempio, il fatto che l’Equo compenso penalizzerebbe i giovani professionisti o che provocherebbe un incremento della spesa pubblica per via dell’esplosione dei costi per la realizzazione delle opere. La Nota del CNI affronta e confuta tali obiezioni una per una.
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri tiene a sottolineare che non ha mai avuto intenzione di inasprire i toni del dibattito, tant’è vero che sinora ha evitato di proporre azioni giudiziarie. Tuttavia, è ben consapevole del fatto che una limitazione dell’ambito applicativo dell’Equo compenso nella materia dei contratti pubblici rappresenterebbe una grave distonia del sistema foriera di evidenti disuguaglianze del regime corrispettivo da applicare ai professionisti intellettuali che si porrebbe in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione sull’uguaglianza sostanziale che non verrebbe garantita.
Pertanto, allo scopo di superare le difficoltà ed i ritardi che determinate contrapposizioni stanno comportando alle procedure di realizzazione delle opere pubbliche, il CNI chiede ai destinatari della Nota un pronunciamento che, con estrema chiarezza, recepisca le logiche considerazioni che lo stesso Consiglio Nazionale ha avanzato in tutti i tavoli istituzionali e che sono esattamente in linea con la chiarezza della norma e con l’unica giurisprudenza attualmente in essere.
In questo senso, il CNI considera anche di fondamentale importanza anche la conferma della scelta prioritaria già effettuata da ANAC nel documento di consultazione del bando tipo 2/2023, ovvero la opzione n. 2 relativa alle modalità di affidamento. Non si comprenderebbe, infatti, una scelta differente, nel momento in cui esiste un unico pronunciamento di organo amministrativo che converge esattamente in tale direzione. Tutto questo in attesa del tanto atteso Correttivo al Codice, ovvero di una circolare ministeriale di interpretazione autentica, che ponga fine ad uno stillicidio di prese di posizione che determina non solo una violazione palese della legge in vigore, ma anche un terribile rallentamento della realizzazione delle opere pubbliche.
Architetti (CNAPPC): “L'equo compenso va applicato senza se e senza ma”
“Con la tesi espressa dal TAR Lazio e dal TAR Veneto, si chiariscono i profili sollevati dell’ANAC con la nota dello scorso 19 aprile: l’applicazione del principio dell’equo compenso è inderogabile anche nei contratti pubblici”.
Così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) in una nota inviata al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ai Ministri della Giustizia, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Economia e delle Finanze, ai Presidenti di ANAC e di ANCI e dell’Osservatorio Nazionale sull’Equo Compenso, alla Cabina di regia per il Codice dei contratti pubblici e agli Ordini degli Architetti PPC.
“L’unanime posizione del Giudice Amministrativo – prosegue il CNAPPC – ci conforta e conferma la nostra posizione. Infatti, pur comprendendo i dubbi interpretativi iniziali, gli approfondimenti che abbiamo successivamente svolti evidenziano, nell’ambito dei contratti pubblici, l’applicazione del principio dell’equo espresso nella Legge n. 49/2023 senza se e senza ma".
“In attesa di chiarimenti, se ritenuti necessari, della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del MEF e del MIT è fondamentale che le Stazioni Appaltanti diano seguito a questo orientamento al fine di scongiurare, nell’interesse pubblico, prassi illegittime e, quindi, ulteriori contenziosi. L’applicazione dell’equo compenso è a garanzia di una prestazione professionale di qualità e, infatti, non bisogna mai dimenticare che la sua ratio è quella di garantire un “compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”.
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