“La norma del Jobs act del lavoro autonomo che introduce il divieto di abuso di dipendenza economica è di estrema rilevanza, un passo in avanti significativo per la difesa della dignità dei lavoratori autonomi italiani. Ora dobbiamo tutti impegnarci affinché essa trovi una effettiva e diffusa applicazione”. Lo afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani, ricordando come, negli ultimi anni, la categoria sia stata in prima fila nella sensibilizzazione su questo genere di abuso al quale pone un freno lo statuto del lavoro autonomo.
Il divieto di abuso di dipendenza economica è inserito nell’ambito Jobs act del lavoro autonomo (art. 3) e sancisce il carattere abusivo e l’inefficacia di alcune clausole che determinano oggettivamente uno squilibrio sostanziale del rapporto contrattuale: la clausola che attribuisce al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; la clausola che, nel contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, riconosce al committente la facoltà di recedere dallo stesso senza congruo preavviso; le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento.
In presenza di queste ipotesi di abuso, oltre all’inefficacia delle clausole previste dal comma 1 dell’art. 3, il terzo comma del medesimo articolo riconosce al lavoratore autonomo il diritto al risarcimento del danno, con la possibilità di avvalersi anche del tentativo di conciliazione innanzi agli organismi abilitati.
L’art. 3, inoltre, stabilisce che ai rapporti contrattuali si applica, in quanto compatibile, l’articolo 9 della legge 192/1998 in materia di abuso di dipendenza economica, il quale individua alcune ipotesi che costituiscono forme tipiche di abuso come il rifiuto di contrarre, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, l’interruzione arbitraria delle relazioni contrattuali in atto.
Adesso – spiega il segretario del Consiglio nazionale, Achille Coppola – si tratta di far conoscere il più possibile questa norma presso i nostri iscritti affinché, ove necessario, ne facciano un uso consapevole”. Coppola anticipa l’intenzione del Consiglio nazionale della categoria “di costituire una apposita task force centrale pronta a fornire consulenza agli ordini territoriali perché assistano i loro iscritti in una serie di possibili cause pilota – con un eventuale intervento ad adiuvandum del Consiglio dell’Ordine di appartenenza – in più tribunali ubicati in diverse parti del territorio nazionale per contrastare condotte che integrano un abuso di dipendenza economica nei confronti dei professionisti, richiedendo la nullità delle clausole abusive e i rimedi inibitori e cautelari necessari per far cessare ogni condotta abusiva. Si tratta – spiega ancora Coppola - di azioni di carattere dissuasivo: i committenti scorretti che abusano della “fragilità” dei commercialisti devono capire che la nuova norma non consente più questa forma di sfruttamento.
Il Consiglio nazionale si impegna anche a segnalare all’Antitrust eventuali condotte abusive perpetrate da “grandi operatori economici, come banche e assicurazioni, che nelle convenzioni con i professionisti impongono condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, tali da integrare un abuso di dipendenza economica che possa alterare la libera concorrenza sul mercato dei servizi professionali, come ad esempio nell’ipotesi in cui impongano congiuntamente corrispettivi bassissimi allineati per le prestazioni dei professionisti”.
DETERMINAZIONE DEL COMPENSO. L’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie riguarda, prima di tutto, la determinazione del compenso in maniera non adeguata a quantità e qualità della prestazione lavorativa effettuata dal lavoratore autonomo.
Il problema è particolarmente avvertito per alcune categorie di professionisti, a cominciare proprio da commercialisti e anche avvocati per i quali è possibile fare riferimento ad appositi parametri predeterminati per legge, che tuttavia spesso i clienti pretendono di non considerare.
Su questo profilo, l’introduzione del divieto di abuso di dipendenza economica apre uno spiraglio importante al riconoscimento del diritto del lavoratore autonomo ad un “equo compenso”, tenuto conto della rilevanza costituzionale della retribuzione.
In questa prospettiva, sono senz’altro vessatorie le clausole che stabiliscono compensi ingiustamente bassi e non commisurati al lavoro svolto, ma lo sono anche quelle che impongono al lavoratore autonomo di anticipare le spese o ne escludono il rimborso oppure prevedono addirittura la gratuità di alcune attività, così come sono abusive le pattuizioni che riconoscono al committente la facoltà di recedere dal contratto senza preavviso.
Per potenziare e valorizzare la norma, i commercialisti – afferma il Giorgio Luchetta, consigliere nazionale delegato ai compensi professionali – chiedono inoltre che sia espressamente riconosciuta anche ai Consigli degli Ordini e agli altri organismi rappresentativi delle categorie professionali la legittimazione attiva ad intraprendere ogni azione legale ai sensi dell’art. 9 della legge n. 192/98, specie di natura inibitoria e cautelare, nei confronti del committente per tutelare non solo il professionista contraente ma anche l’intera categoria professionale. A partire da settembre, il Consiglio nazionale promuoverà iniziative divulgative della norma e della connessa tutela presso gli Ordini territoriali.