Sentenze

Equo compenso, il Tar Campania accoglie il ricorso dell'Ordine degli avvocati di Roma

Sono lesivi del principio dell’equo compenso i corrispettivi per l’attività professionale completamente sganciati da una valutazione in concreto di qualità e quantità dell’impegno richiesto al professionista

martedì 15 novembre 2022 - Redazione Build News

equo-compenso

In tema di tutela dell'equo compenso, il TAR Campania, Sezione Sesta, con sentenza 14 novembre 2022, n. 7037, ha accolto integralmente il ricorso dell’Ordine degli avvocati di Roma contro il Comune di Lacco Ameno (NA).

Il ricorso è stato ritenuto fondato sulla base delle seguenti osservazioni.

“Per equo compenso infatti deve intendersi – ai sensi del comma 2, dell’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificato dal comma 1 dello stesso articolo 19-quaterdecies del d.l. n 148 – un compenso “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”; ciò non vuol dire che l’ente pubblico debba determinare il compenso in base ai parametri del D.M. n. 55 del 2014 ma che il compenso debba necessariamente essere ragguagliato al contenuto della prestazione, e in particolare all’impegno quali-quantitativo che essa richiede e implica, tenuto conto che il riferimento a un criterio di proporzionalità rispetto a qualità e quantità del lavoro si ritrova anche nell’articolo 36 C.; i compensi previsti dall’articolo 6 sono obiettivamente tali da ledere il “principio dell’equo compenso” dato che risultano pressoché irrisori, anche se si ritenesse che la maggiorazione del 15% per spese generali non debba intendersi in essi compresa ma debba ad essi aggiungersi come sostenuto dal comune”; sul punto, il Giudice ha espressamente ritenuto persuasivo l’esempio di quantificazione che avevo formulato con il ricorso (attraverso il quale avevo illustrato il carattere irrisorio della quantificazione) e sulla base di questo ha concluso per la fondatezza del motivo.

“In definitiva gli atti impugnati sono anzitutto lesivi del principio dell’equo compenso, prevedendo corrispettivi per l’attività professionale completamente sganciati da una valutazione in concreto di qualità e quantità dell’impegno richiesto al professionista; in questa prospettiva risulta anche fondato il vizio di illogicità, dato che l’articolo 6 prevede un corrispettivo unico e fisso per categorie di contenziosi non solo accorpando tipi di giudizio diversi ma senza neppure prevedere la possibilità all’interno delle singole categorie di differenziare il corrispettivo in relazione al contenuto della prestazione (per esempio prevedendo limiti minimi e massimi)”.

Al contrario, le difese comunali sono state ritenute infondate sulla base delle seguenti considerazioni, integralmente riprese dalla difesa dell’Ordine romano in sede di replica.

“Le argomentazioni difensive del comune sono d’altro lato infondate. La circostanza che il singolo professionista resti libero di valutare la convenienza dell’incarico e di rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso non rileva, dato che ciò non esclude la violazione dell’articolo 19-quaterdecies, comma 3, cioè la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di garantire un compenso equo; in altri termini, la disposizione violata impone all’amministrazione di prevedere compensi equi e non consente la previsione di compensi non equi, anche se – ovviamente – il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell’elenco, a accettare l’incarico e quindi di beneficiare di un compenso non equo”.

“Considerazioni mutatis mutandis analoghe valgono per le previsioni dell’avviso aventi a oggetto prestazioni non remunerate, qual è la previsione dell’obbligo di redigere un parere scritto sulla convenienza o meno della proposizione di impugnazioni o della resistenza a impugnazioni proposte dalle controparti e quella di procedere alla esazione delle spese legali poste a carico della controparte. Con riferimento a quest’ultima prestazione il comune ha obiettato che si tratta di una previsione legittima in quanto l’esazione è prevista in caso di spese liquidate in misura maggiore rispetto al compenso spettante in base all’avviso e l’avvocato – una volta recuperate le somme – le tratterebbe, così venendo remunerato per l’attività svolta; va osservato in contrario che il recupero delle spese – potendo il debitore risultare incapiente – costituisce una mera eventualità a fronte dello svolgimento dell’attività di esazione (che per sua natura può comportare ulteriori spese e sicuramente un impegno da parte del professionista); resta quindi confermata la previsione di prestazioni senza onere per il comune (e oggetto solo eventuale di una retribuzione oltretutto non quantificabile a priori, cioè al momento dell’accettazione dell’incarico)”.

IN ALLEGATO la sentenza.

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