Il compenso che spetta al libero professionista è liberamente determinabile dalle parti e pertanto il professionista può legittimamente rinunciare ad esso.
Lo ha confermato la seconda sezione civile della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 14293/2018 pubblicata il 4 giugno.
Nell'ordinanza si legge infatti che “costituisce principio largamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non intende discostarsi (di recente, Cass. n. 21235 del 2013; cass. n. 1900 del 2017), quello secondo il quale il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari non importa, secondo il richiamato orientamento, la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale (Cass. n. 21235 del 2009; Cass. n. 17222 del 2011; Cass. n. 1900 del 2017)”.
A tale conclusione, osserva la suprema Corte, “si giunge alla luce dei principi espressi da questa Corte a sezioni unite (Cass. sez. un. n. 18450 del 2005), che, pur applicati in una fattispecie nella quale il committente era una pubblica amministrazione, sono pienamente applicabili anche nel caso in cui il committente sia un soggetto privato”.
INARSIND: ART. 36 C.1 DELLA COSTITUZIONE VALIDO SOLO PER I LAVORATORI SUBORDINATI, GLI SCENARI INQUIETANTI SI MOLTIPLICANO. In proposito, riceviamo e riportiamo il seguente comunicato di Inarsind, l'Associazione di intesa sindacale degli architetti e ingegneri liberi professionisti italiani.
“Non bastavano gli scenari inquietanti che INARSIND preconizzava all’indomani della sentenza 4614/2017 sull’ormai notissimo bando di Catanzaro, ora, dopo l’emanazione di una norma sull’equo compenso per i professionisti, dopo la consultazione aperta da Anac proprio in questi giorni sulle modalità per dare applicazione a tale norma, giunge la sentenza 14293/2018 con cui la Corte di Cassazione afferma che “non operano i criteri di cui all'art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato”; in nome del libero mercato alcune categorie avrebbero quindi diritto ad un lavoro, ossia a svolgere “un’attività materiale o intellettuale per mezzo della quale si producono beni o servizi, regolamentata legislativamente ed esplicata in cambio di una retribuzione”, mentre altri potrebbero fare volontariato; risulta così sancito un principio decisamente grave di disuguaglianza tra i lavoratori, che travalica le norme esistenti sull’equo compenso nonché le norme di deontologia professionale e la lettura che tutti abbiamo sempre dato alla Costituzione.
Vale inoltre la pena ricordare, dopo aver letto il commento sull’argomento, apparso su lavori pubblici.it, dell’arch. Lonetti, dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Catanzaro, che l'Europa di cui facciamo parte, e che sempre viene chiamata in causa in quanto portatrice dei concetti di libero mercato e concorrenza, attraverso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha sentenziato l'08.12.2016 sulle cause C-532/15 e C-538/15 la legittimità delle tariffe qualora vigenti a tutela della sicurezza pubblica e concordate appunto con legge dello Stato e non da associazioni di categoria (quali gli Ordini professionali non sono).
Altresì non è possibile sentir sostenere che “le modifiche normative introdotte dal decreto correttivo al d.lgs. 50/2016, che vieterebbero alla pubblica amministrazione di conferire incarichi professionali per un costo ridotto rispetto al decreto parametri (DM 17 giugno 2016), non possono incidere sulla portata generale della sentenza del Consiglio di Stato, anche in considerazione del grande beneficio che ne deriva per l’Amministrazione pubblica. Inoltre, è evidente che tali norme siano state adottate per motivi politici e pre-elettorali senza tenere in alcun conto, con grande carenza di legittimità, il palese contrasto con l’obbligo di verifica dell’invarianza finanziaria. E’ auspicabile che tali previsioni siano oggetto di immediate verifiche da parte del nuovo Governo, soprattutto non appena verrà accertato che hanno già determinato un aumento della spesa pubblica, in violazione della Spending review,…”
Al di là del fatto che al momento non vi sono norme che vietano il ribasso sul D.M. 17.06.2017, non è possibile che le prestazioni professionali di architetti ed ingegneri, che rilevano sulla sicurezza e sul futuro del territorio, delle infrastrutture, dell’edificato del paese e quindi su tutta la collettività, con il loro significativo carico di responsabilità non siano ritenute degne di essere compensate adeguatamente perché lo Stato deve risparmiare.
La proposta nasce a questo punto spontanea: se si deve risparmiare lo si faccia allora anche sugli stipendi dei pubblici dipendenti cominciando proprio dall’Arch. Giuseppe Lonetti!
E soprattutto non ci si dovrebbe preoccupare piuttosto della qualità ed efficienza generale dell’appalto e realizzazione delle opere pubbliche e non solamente di spuntare il massimo ribasso dai professionisti, che peraltro costituiscono una minima percentuale del costo di vita di un’opera?
E’ indubbio che ribassi eccessivi siano applicati dai professionisti stessi ma domandiamoci in quale condizione questi si trovino nei confronti della committenza pubblica e quanto la necessità di mantenere un lavoro ed un curriculum spinga ad essere disposti ad abbassare il proprio compenso pur di avere accesso agli incarichi! Per questo si è fatta una grande battaglia per l’equo compenso, applicato al momento solo ai “committenti forti” proprio per bilanciare il potere contrattuale dei liberi professionisti nei loro confronti, tutto questo per sentirsi oggi dire che non avevamo neppure mai compreso il senso dell’art. 36 c.1 della Costituzione!
INARSIND continuerà la battaglia per il riconoscimento del ruolo, della dignità e del giusto compenso dei liberi professionisti, elementi fondamentali per consentire alla categoria di continuare a svolgere il proprio compito a servizio della collettività.”