Valutare con estrema attenzione l’opportunità di accettare incarichi di revisore negli enti locali che prevedono compensi manifestamente inadeguati in relazione al numero e alla complessità degli adempimenti o comunque iniqui alla luce dei parametri indicati dal “DM compensi”. È la raccomandazione rivolta dal Consiglio nazionale dei commercialisti, contenuta in un documento che sarà illustrato oggi nel corso del webinar “I controlli negli enti locali, tra compiti nuovi e vecchie questioni”, organizzato dallo stesso Consiglio con la Fondazione nazionale dei commercialisti e con il patrocinio di ANCI.
“La raccomandazione del Consiglio Nazionale – spiega Davide Di Russo – intende favorire una risposta coordinata della professione dinanzi a pratiche inammissibilmente lesive del decoro del professionista e del complementare interesse pubblico, costituzionalmente tutelato, a una prestazione di qualità, impossibile da garantire al di sotto dei livelli minimi di remunerazione coincidenti con la nozione di “equo compenso”. Per questo, aggiunge Di Russo, “invitiamo i nostri colleghi anche a segnalare al Consiglio nazionale, per il tramite degli Ordini territoriali di appartenenza, offerte di compensi al di sotto del limite massimo della fascia demografica immediatamente inferiore”.
“Bisogna ribadire con forza – secondo Di Russo – l’esigenza di garantire l’equo compenso per il revisore. Il tema è quanto mai attuale, considerati i compiti sempre maggiori richiesti al revisore, che si conferma fondamentale interlocutore dell’ente anche nella delicata applicazione della copiosa normativa emergenziale. Anche grazie all’insistenza del Consiglio nazionale, che ha molto investito sulla formazione dei revisori, sono stati negli anni scorsi finalmente aumentati i limiti massimi al compenso, ma si tratta di un risultato che rischia di essere vanificato se, in virtù di un vuoto normativo, si propongono al revisore compensi tanto esigui da compromettere obiettivamente il regolare svolgimento della funzione. Una soglia minima – precisa Di Russo – si può e si deve ricavare implicitamente dal sistema e coincide, come ha giustamente suggerito l’Osservatorio Enti Locali del Ministero dell’Interno, con il tetto massimo previsto dal “DM compensi” per la soglia dimensionale inferiore”.
Sulla base dei dati di sintesi del Ministero dell’Interno relativi al 2021, sono 7.228 gli enti locali soggetti a estrazione dell’organo di revisione. Di questi, 6.512 sono enti con popolazione inferiore a 15.000 abitanti e per i quali è previsto un organo di revisione monocratico; per i restanti 716 enti è previsto un organo collegiale. Da un primo campione analizzato dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, che sta approfondendo il tema, emerge che il 23% dei comuni non tiene conto delle indicazioni ricavabili dal Dm 21.12.2018. Una situazione non circoscritta agli enti di minori dimensioni ma, secondo i commercialisti, addirittura più frequente negli enti con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. La tendenza appare comune a tutte le aree del Paese: da Nord (dove un ente di 31.272 abitanti ha deliberato un compenso di 6.000 euro, ossia meno della metà dei 12.890 euro da individuarsi come soglia minima di riferimento) a Sud (con l’esempio di un ente di 521 abitanti che ha deliberato un compenso pari a 388 euro, oltre rimborso spese fino ad un massimo di 1.544 €, a fronte di un minimo che, tenuto conto di quanto chiarito dall’Osservatorio Enti Locali, non potrebbe essere inferiore a € 2.480 euro). Dall’analisi della Fondazione nazionale dei commercialisti emerge poi che alcuni enti hanno deliberato compensi di importo pari al limite massimo della fascia inferiore.
Cifre che dimostrano, secondo Di Russo, come
“il nodo dei limiti minimi al compenso dell’organo di revisione economico finanziaria non risulta, ad oggi, positivamente risolto. Sebbene il principio dell’equo compenso sia stato sancito anche nei rapporti con la pubblica amministrazione, questo non ha impedito il frequente verificarsi di situazioni paradossali nelle quali l’ente locale fissa un compenso manifestamente e arbitrariamente irrisorio. Tali deprecabili episodi sono favoriti dall’assenza di tutela concreta al principio dell’equo compenso, la cui violazione non è assistita da alcuna sanzione, e, soprattutto, dal vuoto normativo che si registra in materia di specifica determinazione dei minimi al compenso del revisore”. “Per questo – prosegue Di Russo – le raccomandazioni del Consiglio nazionale dei commercialisti intendono sensibilizzare i colleghi, considerato che una risposta coordinata è l’unico strumento, ad oggi, in grado di contrastare la proposta di compensi talmente inadeguati e iniqui da confliggere manifestamente con interessi di rango costituzionale”.