Com'era prevedibile, la questione del rapporto tra il principio dell'equo compenso e il nuovo Codice dei contratti pubblici continua a tenere banco. Dopo la nota del 19 aprile scorso con la quale l'Anac ha affermato che la legge sull’equo compenso può non essere applicata alle procedure per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, e dopo la sentenza del TAR Venezia (n. 632 del 3 aprile 2024), che ha ribadito che l'equo compenso non può essere soggetto a ribassi arbitrari ed è un principio cruciale all'interno del nuovo Codice Appalti, arriva ora la nuova sentenza del Tar Lazio del 30 aprile 2024 (n. 8580 della Sezione Quinta Ter).
Applicazione dell'equo compenso alle prestazioni rese in favore della PA
Relativa a una gara dell'Agenzia del Demanio per “l’affidamento del servizio di vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi da restituire in modalità BIM per taluni beni immobili di proprietà dello Stato siti in Roma”, la recentissima sentenza del Tar Roma ha affermato che “la prospettata incompatibilità tra la legge sull’equo compenso e il codice dei contratti pubblici è in ogni caso smentita dal dato testuale”. “Da un lato, la legge n. 49/2023 prevede esplicitamente l’applicazione alle prestazioni rese in favore della P.A., senza esclusioni, dall’altro lato, l’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023 impone alle pubbliche amministrazioni di garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale (salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente)”, osserva il Tar Lazio, che non condivide l’argomento basato sull’asserita diversità del tenore letterale dei commi 1 e 3 dell’art. 2 della l. n. 49 del 2023.
In primo luogo, “la scelta di applicare la disciplina sull’equo compenso esclusivamente alle prestazioni di natura intellettuale rese in favore della P.A. dal singolo professionista, che non necessiti (o comunque non si avvalga) di un’organizzazione di mezzi e risorse, sarebbe difficilmente giustificabile dal punto di vista logico, considerata l’ontologica corrispondenza tra le prestazioni rese dal singolo e quelle rese nell’ambito di una società/impresa (tanto più che per “servizi di natura intellettuale” oggetto di appalto, come i servizi di ingegneria e architettura, si intendono “quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse”; Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2022, n. 1234)”.
Inoltre, “considerato che, da un lato, l’ordinamento lascia libero il professionista di scegliere di svolgere la propria attività come singolo o in forma associata e che, dall’altro, lo stesso art. 66 del d.lgs. n. 36/2023 stabilisce che “[s]ono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria nel rispetto del principio di non discriminazione fra i diversi soggetti sulla base della forma giuridica assunta: a) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura: i professionisti singoli, associati, le società tra professionisti di cui alla lettera b), le società di ingegneria di cui alla lettera c), i consorzi, i GEIE, i raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti (…)”, imporre il rispetto della norma sull’equo compenso soltanto per le prestazioni rese dal professionista che operi (e partecipi a una procedura a evidenza pubblica) uti singuli avrebbe l’effetto di concretizzare una inammissibile disparità di trattamento tra quest’ultimo e i professionisti che, viceversa, operino (e concorrano) nell’ambito di società, associazioni o imprese, i quali ultimi potrebbero in ipotesi trarre vantaggio dalla mancata applicazione della normativa in materia di equo compenso e quindi praticare ribassi sui compensi (con la presentazione di offerte verosimilmente più “appetibili”)”.
Compatibilità tra la legge sull’equo compenso e l’art. 108, co. 2, del codice appalti
Inoltre, secondo il Tar Lazio non si può ravvisare un’incompatibilità tra la legge sull’equo compenso e l’art. 108, co. 2, del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui impone l’applicazione del “criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo” ai “contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro”.
La legge n. 49/2023 “non preclude l’applicabilità ai contratti in questione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il compenso del professionista è, infatti, soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare a “spese ed oneri accessori” (peraltro, anche la delibera ANAC n. 101 del 28 febbraio 2024 non esclude la legittimità delle tre ipotesi contemplate nel bando-tipo n. 2/2023: a) procedura di gara a prezzo fisso in virtù dell’applicazione della l. n. 49/2023 a tutte le voci del corrispettivo posto a base di gara; b) procedura di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’OEPV, con ribasso limitato alle sole spese generali; c) inapplicabilità della disciplina sull’equo compenso, con conseguente ribassabilità dell’intero importo posto a base di gara)”.
Infine, conclude il Tar Roma, “non si può ritenere che l’art. 41, comma 15, e l’all. I.13 al d.lgs. n. 36/2023 individuino nelle tariffe professionali i criteri per la determinazione del (solo) importo da porre a base di gara, non precludendo affatto l’applicabilità di un ribasso alla base d’asta così composta.
Delle disposizioni da ultimo menzionate va, infatti, offerta un’interpretazione coerente con il richiamato art. 8 dello stesso d.lgs. n. 36/2023, ai sensi del quale, come detto, le pubbliche amministrazioni debbono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale”.