Spazi espositivi delle stesse dimensioni, coperti da grandi tendoni anch'essi uguali per tutti. Stesso contenitore per contenuti differenti. Avrebbe dovuto essere all'insegna della semplicità e in controtendenza rispetto ai fasti del passato, l'edizione milanese di Expo 2015. Ma non è andata così. Cosa sarebbe cambiato per l'evento ormai alle porte se fosse stato sviluppato il masterplan originale, quello progettato da un team di tutto rilievo, composto da Stefano Boeri, Herzog & De Meuron, William McDonough e Ricky Burdett?
Expo 2015, una rivoluzione mancata
Le archistar, come sappiamo, hanno 'abbandonato la nave' nel 2011, a progetto approvato, su base teorica, ma tradito nella sua concettualità. Quando si sono resi conto che il modello da loro proposto- che, partendo da un base progettuale, voleva rivoluzionare l'idea stessa di Esposizione universale rinunciando alle 'grandi opere' e a padiglioni auto-celebrativi- non sarebbe stato applicato nei suoi 'ideali', hanno preferito tirarsi indietro. E lasciare agli organizzatori la prosecuzione dei lavori. Che di fatti hanno mantenuto lo 'schema' iniziale- il modello urbanistico a pianta romana che si sviluppa su due assi ortogonali, che richiamano il Cardo e il Decumano della città romana- ma non hanno accolto tutto il resto. Anche le coperture a tenda ci sono, ma ricopriranno il viale principale su cui si affacciano i vari padiglioni. Una scelta che, secondo Jacques Herzog (FOTO), co-fondatore dello studio Herzog&deMeuron, 'è un'interpretazione assurda e capovolta delle nostre idee.' E' proprio Herzog a commentare, a distanza di qualche anno, gli eventi e il loro dispiegamento. Spiegando, forse per la prima volta, in un'intervista rilasciata al magazine berlinese Uncube, come sono andate le cose: qual era l'idea iniziale, perché non è stata applicata e perché nel 2014 il suo studio ha deciso, nonostante tutto, di accettare l'incarico di realizzare il padiglione di Slow Food.
Expo 2015, masterplan originale
Expo 2015, masterplan attuale
L'originale masterplan avrebbe dovuto segnare la fine di un'era, quella dei padiglioni auto-celebrativi e della spettacolarità
E' stato Stefano Boeri, incaricato alla realizzazione del masterplan di Expo 2015- spiega Herzog- a chiedere la sua collaborazione e quella di William McDonough e Ricky Burdett. Perché lo sviluppo di un modello innovativo e rivoluzionario di Fiera del 21esimo secolo richiedeva una squadra forte e forse anche 'autorevole' per essere accettato. L'idea era quella di pensare un evento che sancisse la fine di un'era, quella della spettacolarità e dell'orgoglio nazionale, a favore del vero obiettivo che un'esposizione internazionale dovrebbe avere: riflettere su un tema, informare i visitatori e favorire scambi culturali. Scopi che, come sempre accade, vengono poi '(s)travolti' da giochi economici e di potere. E la manifestazione diventa un gara di gigantismo per le singole nazioni e un'occasione per fare affari. L'edizione 2015 avrebbe dovuto essere diversa, anche grazie al tema scelto, quello dell'alimentazione: non avrebbero dovuto esserci più padiglioni ma semplici piazzole rettangolari, uguali per tutti e dove avrebbero esibito i propri prodotti o le proprie soluzioni.
A differenziare un paese dall'altro sarebbero stati i contenuti- dichiara Herzog- e non le dimensioni del proprio padiglione.
Sono subentrati interessi politici ed economici
Ma, sebbene le idee fossero condivise da gran parte degli organizzatori, non è stato possibile continuare in questo processo di trasformazione radicale. Il perché è immaginabile. Sono subentrati- spiega Herzog- interessi di natura economica e politica e i soggetti coinvolti sono stati costretti a tenerne conto. E' difficile rintracciare delle vere cause, confessa l'architetto, perché queste manifestazioni sono così grandi che sono guidati da forze incontrollabili e quasi 'automatizzate', per cui invertire la rotta è davvero difficile. L'unico rimpianto rimane il fatto di non aver avviato un'azione diplomatica per spiegare (e convincere) i partecipanti dell'importanza del cambiamento.
Non è rimasto proprio nulla del concetto di partenza? Ben poco, dichiara Herzog, precisando che è vero che ci sarà la partecipazione di 13 ONG, ma avranno spazi limitati ed isolati e, come per ogni Esposizione, il visitatore sarà accecato e distratto dalle grandi strutture. Ci sarà poca cultura e informazione e molta spettacolarità.
Il padiglione di Slow Food sarà l'espressione dell'Expo mancato
Chiamato poi a rispondere dell''apparente contraddizione' di essere tornato a dare un contributo ad Expo 2015 con la progettazione del padiglione di Slow Food, Herzog spiega che la decisione, seppur non facile, è stata presa proprio in nome di quella 'rivoluzione auspicata'. Il padiglione dell'associazione no-profit concretizzerà infatti, così come voluto dal fondatore Carlo Petrini, anch'egli coinvolto nell'iniziale progetto di Expo, le idee del mastreplan originale. Insomma, sarà l'espressione dell'Expo mancato.
La proposta espositiva si baserà su un layout semplice, composto di tavoli che creano un'atmosfera di convivio e mercato e da tre strutture in legno, simili a delle bancarelle, che definiscono lo spazio triangolare di una corte interna.
Strutture che, una volta conclusa la manifestazione, verranno smontate e riutilizzate come casette da giardino per gli orti scolastici, inserite all'interno di uno dei programmi di educazione scolastica promossa dall'associazione.