Sono legittime le Linee guida per l’effettuazione di pagamenti a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, adottate dall’Agenzia per l’Italia digitale, nella parte in cui prevedono l’adesione al sistema “PagoPA” anche per gli Enti e le Casse previdenziali privatizzate.
Lo ha affermato la quarta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 1931/2021, pubblicata ieri.
Con questa sentenza Palazzo Spada ha chiarito che le Casse e gli Enti previdenziali, in relazione alle loro funzioni istituzionali che trovano anche una rispondenza nell’art. 38 Cost., pur non rientrando nella definizione di “Pubblica Amministrazione” dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 (norma dettata con riferimento alla disciplina del pubblico impiego), sono attratti nella sfera dei soggetti che gestiscono un servizio di rilievo pubblicistico: chiari indici di ciò sono il potere di vigilanza ministeriale ai sensi dell’art. 3, d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 nonché la sottoposizione al controllo della Corte dei conti sulla gestione al fine di assicurarne la legalità e l’efficacia. Pertanto tali soggetti rientrano nell’art. 2 comma 2, lett. b) del CAD.
La sentenza ha richiamato la sentenza n. 6014 del 28 novembre 2012 della Sezione VI del Consiglio di Stato con la quale si è già pervenuti alla sopra richiamata conclusione in relazione alla natura degli Enti previdenziali e assistenziali privati: “La trasformazione operata dal d.lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo.”.
In particolare, si è ivi osservato, tra l’altro con riferimento alla loro inclusione del conto consolidato ISTAT, che gli Enti e le Casse di previdenza privatizzate fruiscono di finanziamenti pubblici sia pure in modo indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte da quelle destinate a fini generali: si va infatti dagli sgravi alla fiscalizzazione degli oneri sociali alla previsione della obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Inoltre, tale conclusione è resa ancora più evidente dal fatto che il legislatore ha ricompreso il settore della previdenza complementare nella normativa dettata in tema di controllo del disavanzo del settore ai sensi della l. 23 dicembre 1996, n. 662 nonché nella riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare ai sensi della l. 8 agosto 1995, n. 335.
Non rilevano pertanto gli “indici” di non assoggettabilità al CAD rappresentati al punto 6.2. poiché, da un punto di vista strettamente normativo, l’art. 15, comma 5 bis, d.l. n. 179 del 2012 (c.d. decreto crescita 2) convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221, che prevede l’obbligo di avvalersi del sistema unico di incasso e pagamento dell’art. 81, d.lgs. n. 82 del 2005, riferisce tale obbligo alle pubbliche amministrazioni tout court, senza alcun riferimento all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, per cui, correttamente, le Linee guida nel dare attuazione al dettato normativo primario hanno considerato tutti i soggetti sottoposti al CAD (tra cui i soggetti che gestiscono servizi che hanno un rilievo di interesse generale pubblici e quindi, per quanto sopra argomentato, anche le Casse gli Enti previdenziali privatizzati); da un punto di vista logico e sistematico, l’obbligatorio inserimento nel sistema di pagamento in questione si inquadra nella digitalizzazione dei flussi finanziari sia dal lato delle entrate che delle uscite di tutti i soggetti che, in quanto inseriti nel c.d. elenco dell’ISTAT, ineriscono comunque al bilancio dello Stato.
Ha ancora chiarito la sentenza che l’inserimento degli enti e della casse previdenziali private rientra pienamente nella “volontà” del legislatore così come esplicitato sia a livello eurounitario sia a livello interno dal comma 5 bis dell’art. 15, d.l. n. 179 del 2012 convertito in l. n. 221 del 17 dicembre 2012, che non reca alcuna delimitazione alla definizione di Pubbliche Amministrazioni con riferimento all’ambito applicativo del Codice per l’Amministrazione digitale soltanto al perimetro disegnato dall’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001.
Invero, si rileva che gli Enti in esame conservano, nonostante la privatizzazione avvenuta sotto il profilo organizzativo, una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, per cui l’obbligatoria utilizzazione della piattaforma di pagamento PagoPA non appare eccentrica rispetto a tale loro funzione.
In merito alla natura delle Linee Guida e alle connesse competenze dell’Agenzia per l’Italia Digitale, occorre rilevare che, nel caso in esame, l’Agenzia ha operato nell’ambito della competenza riconosciutale dall’art. 5, d.lgs. n. 82 del 2005 s.m.i. e le Linee guida in questione danno attuazione al dato normativo della fonte primaria – come sopra ricostruito con riferimento a tutte le fonti che recano le varie definizioni di Pubbliche amministrazioni - secondo il munus che all’Agenzia è stato rimesso, ossia quello di emanare prescrizioni di tipo tecnico nei confronti dei soggetti che sono ex lege tenuti ad aderire al sistema PagoPA; peraltro, il richiamo da parte delle Linee guida impugnate alla circolare della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Economia e Finanze del 9 marzo 2015, che, con riferimento alla fatturazione elettronica, si riferisce alle amministrazioni pubbliche in senso ampio, non risulta essere improprio essendo ravvisabile una uguale ratio nell’esigenza di assicurare una omogeneità di piattaforma digitale sia sul fronte degli incassi che sul versante dei pagamenti.
In allegato la sentenza