In una nota diffusa dalla Federazione viene espresso parere positivo sulla sentenza del 23 febbraio scorso numero 3086 del TAR del Lazio in tema di corretta applicazione dei Contratti Collettivi di Lavoro.
In particolare nella nota diffusa da FINCO si legge: "E adesso come la mettiamo? Ora che il TAR Lazio ha stigmatizzato l’obbrobrio giuridico predisposto negli ultimissimi anni, ribadendo che la scelta del CCNL è rimessa alla libertà decisionale dell’imprenditore (e quindi non a un dirigismo burocratico a esclusivo vantaggio di alcune sigle sindacali e di alcuni meccanismi come le Casse Edili nel settore delle costruzioni)?"
Cosa dice la sentenza del TAR del Lazio
L’imposizione di un determinato contratto sia nell’ambito dei lavori pubblici che per l’ottenimento di denari parimenti pubblici nell’edilizia privata (vedi Superbonus) era stato oggetto da parte della Federazione ed altre Organizzazioni di impresa (Confimi Edilizia, Federcepi, Federterziario tra le altre) di ripetute osservazioni ai Ministri Orlando e Giovannini sia per iscritto che, nel caso dell’ex Ministro delle Infrastrutture, di persona: naturalmente senza risposta alcuna perché in effetti non c’è alcuna risposta accettabile che possa esser data rispetto ad imposizioni verticistiche che tolgono alla piccola e media impresa in particolare, sempre blandita ma mai di fatto aiutata o quanto meno non ostacolata, una delle poche scelte che ancora le rimanevano.
Con la costante spinta verso il CCNL “di riferimento" si è configurata una gravissima asimmetria di trattamento sotto diversi profili tra i soggetti interessati alla vicenda, subordinando la concessione di agevolazioni derivanti da risorse pubbliche all’applicazione, di fatto, di un unico Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
“Così facendo si è anche limitata indebitamente, per non citare altri aspetti, la libertà sindacale e contrattuale prevista dall’articolo 39 (ma anche 41) della nostra Costituzione. E ciò nulla ha a che vedere con la condivisibile avversione ai cosiddetti “contratti pirata” (e vorremmo dire ancor di più, e prima, agli ingenti numeri di lavoratori che ancora oggi operano senza contratto alcuno) e con la sicurezza del lavoro” – spiega Carla Tomasi, Presidente FINCO (Federazione Industrie, Prodotti, Impianti, Servizi ed Opere Specialistiche per le Costruzioni e la Manutenzione, 40 Associazioni, 17 mila imprese).
Non solo, nel caso dei cantieri privati, al servizio di tale impostazione normativa e, quindi, a supporto del Contratto unico di cui sopra (e degli introiti della Cassa Edile altrettanto "unica"), viene posta l’attività, sempre finanziata da pubblici fondi, di Agenzia delle Entrate, INPS, Ispettorato del Lavoro, Carabinieri e Casse Edili stesse, queste ultime al medesimo tempo controllori e percipienti dei contributi. La fondamentale battaglia di civiltà contro gli infortuni sul lavoro - e non dimentichiamo anche contro gestioni opache in cantiere, se non di vero e proprio malaffare - necessita di provvedimenti, non certo del tutto discriminatori come quello di cui trattasi che colgano il vero nodo che è costituito dalla qualificazione delle imprese (e, nelle opere pubbliche, delle Stazioni Appaltanti).
Non possiamo non rilevare inoltre una assoluta schizofrenia per quanto riguarda la prevenzione sia della sinistrosità che del malaffare: da un lato, infatti, si richiede l’applicazione del “Contratto Unico"; dall’altro, si consente che una stessa impresa possa aggiudicarsi un appalto e poi subappaltarne l’esecuzione al 100 per cento, senza neanche curarsi più di rispettare il massimo ribasso del 20% tra appalto e subappalto, con buona pace della sicurezza e della qualità delle opere. È una logica grave ed inaccettabile, decisa peraltro ascoltando realmente (“concertando con”) solo le parti sociali direttamente interessate al “Contratto Unico” di cui trattasi.
La sentenza del TAR Lazio citata ribadisce invece che “la normativa vigente consente…che possa essere applicata più di una tipologia di CCNL esistente, a condizione che il tipo di contratto sia connesso e compatibile con l’effettiva attività da espletare”. Non solo perché la previsione di un CCNL indicato dalla Stazione appaltante è rimasta, ma anche perché si aggrava il restringimento del mercato già ora in mano per oltre il 90% (dati ANAC) ad una modestissima percentuale di imprese. “Ci aspettiamo un deciso e rapido cambio di passo che segnali senza dubbio una discontinuità rispetto a quanto deciso sinora anche nell’ambito del Codice dei Contratti Pubblici approvato nel Consiglio dei Ministri dell’altro ieri, che purtroppo non sembra vada in questa direzione” - conclude Carla Tomasi.