“A fronte di alcuni titoli di stampa secondo cui resterebbe l’obbligo, alla luce della Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 9/2019, di applicazione del CCNL Edilizia riteniamo opportuno ribadire invece che nella sostanza non cambia nulla in merito al contratto applicabile in cantiere”. Lo afferma Carla Tomasi, Presidente di Finco.
La circolare non definisce, infatti, nessun obbligo di applicare un determinato contratto, ma afferma solo che se si vuole accedere ad alcuni benefici (come ad esempio alcune deroghe in materia di tempi di lavoro) i contenuti dei CCNL siglati dalle OOSS individuate come maggiormente rappresentative, devono essere rispettati.
L’applicazione del CCNL, infatti, è, e rimane, sempre definita dall’attività prevalente svolta dall’azienda o dall’impresa (art. 2070 del Codice Civile).
“Sarà ora di smettere con queste forzature prosegue Carla Tomasi che sembrano più volte a consolidare (salvare) rendite di posizione che alla reale tutela della manodopera.”
Nulla di nuovo, quindi, rispetto a quanto già noto in precedenza: il CCNL dell’Edilizia (e connessi istituti, come le Casse Edili) si applica ad imprese che svolgono attività edile!
Ed è qui che, probabilmente anzi sicuramente nascono gli equivoci maggiori: non tutte le attività che vengono svolte in cantiere sono e/o devono essere inquadrate nel settore dell’edilizia, dal momento che questa è solo una parte del più vasto settore delle costruzioni che di anime professionali e, per conseguenza, di contratti ne possiede vari.
Dalle attività metalmeccaniche dell’impiantistica, piuttosto che delle costruzioni metalliche, a quelle del restauro e della prefabbricazione (acciaio, cemento, legno) solo per fare alcuni esempi è vasto il panorama delle attività che sono parte delle costruzioni ma non sono edilizia.
E su questo il Ministero del Lavoro dovrebbero finalmente dire una parola chiara che metta definitivamente la parola <<fine>> a quest’annosa vicenda e dia ad ogni settore il giusto riconoscimento.
Anche i “privilegi” riconosciuti alle OOSS maggiormente rappresentative dovrebbero, però, essere “rimeditati” visto che i criteri della “maggiore rappresentatività” oltre ad essere difficilmente verificabili nella sostanza, sono storicamente superati: è certamente più efficace avere un CCNL che risponda realmente ai bisogni dei diversi settori (anche a livello di contrattazione decentrata) piuttosto che supportare contenitori omnicomprensivi lontani dalle realtà aziendali.
“Questo non vuol dire supportare meccanismi di dumping sociale – chiarisce la Tomasi – ma prendere atto del fatto che la realtà del mondo del lavoro è cambiata e che sempre più spesso si deve andare verso la specializzazione.
Non è un caso che l’art. 30, comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici (DLgs 50/16) riconosca esplicitamente la specificità delle contrattazioni”, prevedendo che << Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente. >>
“La previsione del Codice dei Contratti non nasce a caso, ma risponde al bisogno di individuare e tutelare la maggiore qualità e professionalità delle maestranze e delle imprese impegnate in lavori specialistici e superspecialistici, occorrerebbe che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ne prendesse atto e lo chiarisse in maniera definitiva” - conclude Carla Tomasi.