Pubblichiamo una nota stampa del 4 agosto 2017 di Finco (Federazione Industrie Prodotti Impianti Servizi ed Opere Specialistiche per le Costruzioni).
“Facciamo chiarezza una volta per tutte su questa faccenda: vogliamo (vogliono) difendere aziende e lavoratori o certe aziende (da loro controllate) e certi lavoratori (quelli tesserati)?
Perché un fatto è certo: se i lavori vanno fatti, a farli saranno imprese e lavoratori ma non è detto (anzi sarebbe opportuno che non sia) che debbano essere sempre le stesse aziende e le stesse maestranze a lavorare, mettendo peraltro fuori mercato gli altri soggetti.
E le stesse normative europee vanno in questa direzione.
Preoccupa apprendere - se risulta vero quanto riportato da organi di stampa - che il Mit ed il Mise abbiano avuto un atteggiamento di “apertura” (verso cosa? Verso una modifica del Correttivo Appalti, che è stato in Parlamento per due anni, con oltre 20 audizioni, poi in Esecutivo, oggetto di dibattito intenso e diffuso, che riguarda una materia che intercetta il 15% del PIL Nazionale e 1.500.000 lavoratori) verso la tutela - anticoncorrenziale - di 3.000 dipendenti, per eccesso, che potrebbero, forse, essere a rischio (rischio tutto da verificare stanti le sicure clausole sociali che sarebbero applicate in caso di subentro aziendale).
Ma scherziamo? No, non scherziamo purtroppo, visto il singolare quesito (auspicio?) rivolto dal MIT - e per fortuna subito chiarito da Anac - circa una possibile interpretazione in base alla quale la data da cui deve essere previsto il vigore del tetto del 20 % dell’in-house (cioè della possibilità di dare lavoro a se stessi negli appalti pubblici) si sarebbe potuta riferire non all’obbligo operativo della norma, ma “interpretare” come quella in cui i soggetti al tetto predispongono il piano per arrivare al tetto medesimo. Confidiamo.”
Ufficio Comunicazione Finco