Con la sentenza n. 2226 del 4 maggio 2015, il Consiglio di Stato (Sezione Sesta) ha respinto l'appello presentato da un cittadino per la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, di una sentenza con la quale il Tar Marche ha respinto il ricorso proposto contro un'ordinanza dirigenziale del Comune di Ancona di demolizione di un manufatto abusivo.
L'ordine di demolizione riguardava le seguenti opere: “un manufatto di alluminio con copertura in panelli di lamiera, edificato sul balcone ed addossato alla parete perimetrale dell'edificio delle dimensioni di circa mt. 1,50 x 0,94 x 3, 20 di altezza, dotato di impianto idrico ed elettrico; una caldaia con scarico dei fumi a parete”, nonché “la remissione in pristino dello stato dei luoghi a proprie spese entro il termine massimo di 90 gg. dalla notifica della presente ordinanza”.
DEFINIZIONE EDILIZIA DELLA VERANDA. Secondo il Consiglio di Stato, che ha confermato la sentenza del Tar Marche, la consistenza del manufatto in questione, realizzato senza assenso edilizio su un terrazzo dell’appartamento del ricorrente, rientra nella definizione edilizia propria della veranda, definizione per la quale non rileva la chiusura su tutti i lati del manufatto stesso, essendo invece necessario e sufficiente l’effetto di incremento di volumetria e di modifica della sagoma dell’edificio causato dall’intervento edilizio.
Solo in presenza di una tettoia o di un porticato aperto da tre lati può essere esclusa la realizzazione di un nuovo volume (per tutte, Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4997).
NON SI TRATTA DI UN MERO VOLUME TECNICO A PROTEZIONE DELLA CALDAIA. “La veranda di cui trattasi – osserva Palazzo Spada - non può essere considerata mero volume tecnico a protezione della caldaia, alla cui definizione difetta l’autonomia funzionale anche solo potenziale e la non adattabilità ad uso abitativo o diverso da quello necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi la costruzione principale (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 201, n. 175): le dimensioni del manufatto sono, all’evidenza, ben maggiori di quelle necessarie a contenere la caldaia e ciò è sufficiente ad escluderne la riconducibilità alla categoria pretesa dall’appellante, anche ai sensi dell’art. 13 del regolamento edilizio comunale”.
Poiché comporta una modifica del
volume, della sagoma e del prospetto dell’edificio, l’intervento
sanzionato “rientra nella nozione della ristrutturazione edilizia
come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 giugno
2001 n. 380, la cui realizzazione sconta il previo permesso di
costruire da parte del Comune, a prescindere da qualunque
considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto
realizzato".