Sentenze

Fonti rinnovabili, alla Consulta la norma che sana accordi dichiarati nulli in sede giurisdizionale

Il Consiglio di Stato ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della Legge di Bilancio 2019

mercoledì 29 gennaio 2020 - Redazione Build News

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“Sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in relazione agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113, e 117, comma 1, Cost., nonché in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali di cui agli artt. 1, del 1° Protocollo addizionale, 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 2 del protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997; la norma sembra infatti avere una portata generalizzata di sanatoria rispetto ad accordi che abbiano imposto ai titolari di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili oneri di carattere esclusivamente economico, e di cui è stata dichiarata la nullità in sede giurisdizionale nonchè porsi in violazione dei principi di ragionevolezza e della libertà di iniziativa economica nella misura in cui tramuta il rapporto autorizzatorio previsto per l’attività di produzione di energia elettrica (e, per quanto rileva, per quella da fonti rinnovabili), costituente una libera attività di impresa, in un rapporto di tipo concessorio, che costituisce ex novo posizioni soggettive in capo al concessionario a fronte del pagamento di un canone”.

Così la quinta sezione del Consiglio di Stato nell'ordinanza n.677 del 27 gennaio 2020. Analoghe questioni sono state rimesse con le ordinanze 27 gennaio 2020, nn. 678 e 679. La questione era stata già rimessa dalla Sezione con l'ordinanza 27 dicembre 2019, n. 8822.

Ha chiarito la Sezione di Palazzo Spada che il comma 953 dell’art. 1, l. n. 145 del 2018 sembra avere, tuttavia, una portata generalizzata di sanatoria rispetto ad accordi che abbiano imposto ai titolari di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili oneri di carattere esclusivamente economico, e di cui è stata dichiarata la nullità in sede giurisdizionale, che non ne consente un’interpretazione conforme alla Costituzione.

Essa infatti non distingue, da un lato, tra accordi stipulati per individuare misure compensative a carattere non meramente patrimoniale a carico del titolare di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, secondo quanto previsto dalle più volte citate linee guida ministeriali in materia; e dall’altro lato accordi contenenti misure di carattere meramente patrimoniale.

Ha aggiunto la Sezione che l’effetto di sanatoria si desume, inoltre, dai dossier del 7 dicembre e del 10 dicembre 2018 relativi alla legge di bilancio per il 2019, redatti dagli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

La norma ha dunque previsto, come si ricava dalla sua formulazione letterale, l’irripetibilità delle somme già versate dai gestori di impianti energetici ed acquisite ai bilanci comunali in base ad accordi sottoscritti prima dell’entrata in vigore delle linee guida nazionali; per altro verso non pare possano escludersi dal suo ambito di applicazione le somme ancora non versate e da corrispondere per la residua durata della convenzione.

Dalla sua formulazione («i versamenti restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia»), si desume infatti che dalla piena efficacia degli accordi deriva, anzitutto, l’irripetibilità dei versamenti di somme in esecuzione di essi, coerentemente peraltro con il principio di carattere generale per cui ogni spostamento patrimoniale deve essere assistito da una legittima causa giuridica (art. 2041 cod. civ.).

In secondo luogo, si deve ritenere che tale conservazione dell’efficacia riguardi anche gli accordi che non hanno avuto ancora esecuzione, con il pagamento delle somme previste a favore degli enti locali, i quali possono pertanto agire per l’adempimento degli obblighi assunti dai gestori di impianti energetici.

Quanto alla non manifesta infondatezza, ha osservato la Sezione che un primo profilo di illegittimità della norma censurata si ravvisa rispetto al parametro della ragionevolezza ricavabile dall’art. 3 Cost., perché eccedendo dalle esigenze connesse all’obiettivo legittimo di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, essa dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle medesime linee guida e al sovraordinato art. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003.

Inoltre, la clausola di revisione contenuta nel secondo periodo della disposizione non prevede alcun termine, né strumenti per superare il rifiuto o il dissenso eventualmente manifestato da una delle parti dell’accordo, con il conseguente rischio che l’assetto originariamente prefigurato dalle parti contraenti, pur affetto da illiceità, rimanga inalterato. Ed infatti, anche a voler ritenere configurabile un’ipotesi di nullità derivante da “ius superveniens”, a rapporto validamente instaurato, ciò dovrebbe tradursi in una perdita di ulteriore efficacia dell’atto (id est: in un arresto della sua funzione negoziale) che confligge con il mantenimento di efficacia degli accordi sancito dalla disposizione sopravvenuta.

L’effetto complessivamente derivante dalla norma censurata è, dunque, quello tipico di una sanatoria indiscriminata, per cui il gestore dell’impianto elettrico rimane vincolato al pagamento di somme in esso previste, prive di finalizzazione ambientale ai sensi dell’allegato 2 alle linee guida nazionali, senza che contemporaneamente sia realizzato l’obiettivo di adeguare gli accordi al principio di ordine imperativo per cui l’autorizzazione unica per impianti di produzione energetica alimentati da fonti rinnovabili non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione di carattere meramente patrimoniale, ai sensi degli artt. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003 e 1, comma 5, l. n. 239 del 2004 (negli stessi termini si è già espressa la stessa Corte costituzionale, nella sentenza del 1° aprile 2010, n. 124).

Dalla nullità degli accordi che contemplino siffatte misure discende poi come conseguenza automatica l’improduttività degli effetti del negozio ex tunc che invece la norma di legge di bilancio censurata ha inteso fare salvi in assenza di una plausibile esigenza di ordine imperativo, sì che il mantenimento dell’efficacia statuito dall’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2019 finisce anche per vanificare gli effetti connaturati alla categoria giuridica della nullità.

La norma censurata appare, pertanto, anche lesiva del diritto di azione sancito dall’art. 24 Cost.. Nel prevedere la conservazione dell’efficacia degli accordi, essa vanifica infatti l’utilità pratica dell’impugnativa contrattuale, ivi compresa la nullità ai sensi degli artt. 1418 cod. civ. e seguenti, prevista per reagire contro manifestazioni di volontà contrattuale aventi contenuti contrastanti con norme imperative, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione.

Nel caso degli accordi previsti dall’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018 la pronuncia giurisdizionale dichiarativa della nullità sarebbe inutiliter data, perché da un lato, come da essa espressamente previsto, le somme versate in esecuzione dello stesso non potrebbero essere ripetute dal solvens, gestore dell’impianto elettrico; ed inoltre avvalendosi della conservazione dell’efficacia parimenti affermata dalla norma censurata l’ente locale potrebbe agire per il pagamento delle somme ulteriormente dovute.

Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è dato dalla violazione dei principi della separazione dei poteri (in relazione agli artt. 3, 97, 101, 102, 113 Cost.) e del giusto processo sanciti dagli artt. 111 Cost. e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 117, comma 1, della medesima Carta fondamentale.

La disposizione in questione, eccedendo dalle esigenze connesse all’obiettivo legittimo di rivedere gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, in conformità con la normativa euro-unitaria e i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, persegue invece l’intento di definire in via legislativa i contenziosi pendenti, interferendo sugli esiti dei giudizi in corso e sulle pronunzie degli organi giurisdizionali, in violazione dei principi di terzietà e imparzialità del giudice. Di conseguenza, l’intervento normativo pare presentare profili di irragionevolezza, in violazione dell’art. 3 Cost., laddove vanifica il potere giurisdizionale già esercitato (con la declaratoria di nullità degli accordi contrastanti con il divieto di misure compensative a contenuto meramente economico ad opera delle sentenze dei giudici di primo grado), in assenza di plausibili motivi di interesse generale e senza che ciò risultasse necessario in ragione di oscillazioni giurisprudenziali, alterando in modo imprevedibile rapporti pregressi tra le parti sì da rendere inutile e privo di effettività il diritto alla tutela giurisdizionale. La sanatoria generalizzata introdotta con la legge di bilancio per il 2019 altera, infatti, la parità delle parti nel processo, anche quelli in corso, privando una parte dei rimedi di legge a sua disposizione e vanificando l’utilità delle pronunce giurisdizionali favorevoli eventualmente conseguite, ma non ancora definitive, quand’anche con esse si sia accertato il contrasto dell’accordo con i principi di ordine imperativo regolatrici del settore della produzione energetica da fonti rinnovabili.

Sotto il profilo da ultimo evidenziato emerge un ulteriore profilo di contrasto della norma censurata con il vincolo posto al legislatore ordinario dal sopra citato art. 117, comma 1, Cost. al rispetto degli obblighi internazionali, nel caso di specie assunti dall’Italia con il protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997 della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici -che funge da norma interposta e, quindi, da parametro mediato di costituzionalità-, di cui il decreto legislativo n. 387 del 2003 costituisce attuazione nell’ordinamento giuridico interno, per il tramite della direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 (sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Il contrasto è ravvisabile nel fatto che gli obiettivi stabiliti a livello internazionale con il citato protocollo, di promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili in funzione dell’abbattimento delle emissioni inquinanti (art. 2), rispetto ai quali il principio di gratuità delle autorizzazioni in materia è strumentale, potrebbe essere vanificato da una sanatoria generalizzata rispetto ad accordi aventi l’effetto di rendere tali titoli amministrativi onerosi per ragioni estranee alla salvaguardia dell’ambiente, così da scoraggiare gli operatori economici dal mantenere i propri investimenti nel settore delle energie rinnovabili.

L’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018, nella misura in cui consente il mantenimento di efficacia degli accordi che prevedano misure compensative meramente patrimoniali, presenta, dunque, profili di irragionevolezza e arbitrarietà in quanto non prende in considerazione né l’interesse degli operatori privati incisi dalla sanatoria né quelli pubblici alla promozione e al sostegno della produzione di energia da fonte rinnovabile (tutelati, già anteriormente all’emanazione delle linee guida nazionali di cui al citato decreto ministeriale, da norme imperative, quale l’art. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003, in coerenza con i principi eurounitari di riferimento), non operando alcun bilanciamento con l’interesse alla conservazione delle risorse acquisite ai bilanci degli enti locali.

Per la ragione da ultimo evidenziata la norma appare anche in contrasto con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., in relazione ai principi generali regolatori del settore economico relativo alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ricavabili dagli artt. 6 della citata direttiva 2001/77/CE - secondo cui gli Stati membri sono tra l’altro tenuti a «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili», a «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie…» - e 12, d.lgs. n. 387 del 2003, in virtù del quale la produzione di energia da fonti rinnovabili è soggetta ad un regime amministrativo di tipo autorizzatorio, subordinato all’accertamento dei presupposti di legge e non sottoposto a misure di compensazione di carattere pecuniario

La disposizione in questione sembra porsi infine in contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1, del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 6 della CEDU, in quanto determina, in modo imprevedibile ed in violazione dei principi di legalità e proporzionalità (tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito), una lesione del diritto di proprietà degli operatori economici che hanno realizzato e messo in esercizio gli impianti da fonti rinnovabili (nella misura in cui osta al soddisfacimento di un credito avente consistenza di valore patrimoniale e base normativa nel diritto nazionale e nell’ordinamento sovranazionale) e, quindi, anche del loro legittimo affidamento ad ottenere la restituzione degli importi versati in esecuzione di accordi di cui si contesta la validità e, comunque, a non dover più corrispondere alcuna somma per la residua durata della convenzione (ove ne sia accertata la nullità per contrasto con norme imperative).

In allegato l'ordinanza

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