Con la sentenza n. 333/2015 depositata il 26 gennaio, il Consiglio di Stato (Sez. VI) ha riformato la sentenza del Tar Lazio che aveva accolto il ricorso proposto avverso il diniego di permesso di costruire un impianto fotovoltaico, recintato da un muretto e sovrastante palificazione per un’altezza complessiva di 2,30 metri sul terreno sito in zona agricola.
Va premesso che nel caso in esame la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all’esercizio delle attività agricole e di quelle ad esso connesse, ai sensi dell’art. 55, comma 1, della legge Regione Lazio 22 dicembre 1999, n. 38, e che le norme per l’edificazione nella zona agricola subordinano il rilascio del permesso di costruire al rispetto del lotto minimo d’intervento.
La sentenza impugnata aveva accolto il ricorso, rilevando che l’uso in comodato della parte di terreno non di proprietà della ricorrente vale a raggiungere il lotto minimo necessario; che la strumentalità all’attività agricola dell’impianto è comprovata dalla sua destinazione all’erogazione di energia per l’irrigazione dei campi; che i profili relativi all’abusività del manufatto edilizio presente sull’area, essendo stati accolti i ricorsi proposti avverso i dinieghi di sanatoria, non hanno rilevanza, alla pari delle violazioni alla disciplina edilizia, in forza del regime di favore che il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 riserva alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
FONDATO L'APPELLO DEL COMUNE. Invece il Consiglio di Stato, con la citata sentenza depositata il 26 gennaio 2015, ha accolto l'appello proposto dal Comune. “Il manufatto del quale si tratta – osserva Palazzo Spada - non consiste, infatti, solo nell’impianto fotovoltaico, ma in un’opera edilizia vera e propria, essendo recintato da un muretto in calcestruzzo e dalla relativa palificazione, per un’altezza di due metri e mezzo. Con la richiesta di documentazione integrativa del 30 marzo 2011 il Comune aveva sottolineato questa circostanza, evidenziando che la nuova edificazione in zona agricola è consentita solo se necessaria alla conduzione del fondo e all’esercizio delle attività agricole, secondo quanto dispone l’art. 55 della citata legge regionale n. 38 del 1999: del resto, la stessa relazione tecnica allegata alla richiesta del permesso di costruire aveva collegato la necessità della installazione alla coltivazione del fondo”.
Di conseguenza, come correttamente sostenuto dal Comune appellante, “la non contestata natura di nuova edificazione appartenente all’impianto de quo, anche in considerazione della recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (per tutte, Consiglio di Stato, sez. V, 9 aprile 2013, n. 1922) sconta la verifica della conformità alle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune e, quindi, la strumentalità dell’opera alla coltivazione del fondo, predicata dalla norma appena citata. E tale strumentalità non è dato riscontrare nell’impianto di cui trattasi, proprio perché nel terreno interessato non esistono manufatti agricoli e, d’altra parte, non viene raggiunta l’unità minima aziendale alla quale è subordinato il rilascio del permesso in zona agricola, secondo quanto esposto nel provvedimento impugnato in primo grado”.
Il Consiglio di Stato osserva inoltre che “la considerazione del terreno ottenuto in comodato dall’interessata non può servire, contrariamente a quanto ha ritenuto il primo giudice, ad integrare il lotto minimo, in quanto tale terreno è stato vincolato dalla concedente all’installazione dell’impianto e non alla coltivazione agricola, laddove la prescrizione è ovviamente nel senso che la strumentalità della nuova edificazione deve esprimersi su un’area destinata all’uso agricolo, e su quest’uso deve essere commisurata”.