Con la sentenza del 7 settembre 2016, causa C- 549/14, la Corte di giustizia europea ribadisce un principio consolidato in tema di estensione dell’obbligo di gara conseguente al c.d. divieto di rinegoziazione dell’offerta.
Secondo la Corte Ue l’articolo 2 della direttiva 2004/18/CE “deve essere interpretato nel senso che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, a tale appalto non può essere apportata una modifica sostanziale senza l’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, anche qualora tale modifica costituisca, obiettivamente, una modalità di composizione transattiva comportante rinunce reciproche per entrambe le parti, allo scopo di porre fine a una controversia, dall’esito incerto, sorta a causa delle difficoltà incontrate nell’esecuzione di tale appalto.”
La situazione “sarebbe diversa soltanto nel caso in cui i documenti relativi a detto appalto prevedessero la facoltà di adeguare talune sue condizioni, anche importanti, dopo la sua aggiudicazione e fissassero le modalità di applicazione di tale facoltà.”
Dunque, la Corte di giustizia Ue ribadisce che non può essere apportata, in via di trattativa privata tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario, una modifica sostanziale di un appalto pubblico dopo la sua aggiudicazione; in tal caso deve darsi luogo ad una nuova procedura di aggiudicazione vertente sull’appalto così modificato.
Questo principio prevale anche nel caso in cui le prospettate modifiche derivino dalla volontà delle parti di trovare una composizione transattiva a fronte di difficoltà oggettive incontrate nell’esecuzione di detto appalto ovvero di controversia insorta successivamente.
Una possibile eccezione è stata individuata dalla Corte alla triplice condizione che: a) si verta in materia di appalti aventi oggetti particolari ed aleatori; b) la possibilità di modifica sostanziale sia stata prevista dalla legge di gara; c) sia rispettata la parità di trattamento fra imprese attraverso la predeterminazione delle modalità applicative di tali adeguamenti.