Con riferimento alla disciplina delle matrici materiali di riporto e all’utilizzo che di tali materiali possono farsi anche in considerazione delle nuove disposizioni in materia contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2017, n.120 - regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il Ministero dell'ambiente ha emanato una circolare – IN ALLEGATO – che fornisce alle Amministrazioni chiarimenti interpretativi al fine di uniformarne l’azione amministrativa.
Dopo aver illustrato le novità introdotte dal DPR 120/2017 per quanto concerne la definizione e qualificazione giuridica delle matrici materiali di riporto, e dpo aver riassunto il quadro normativo di riferimento in materia di gestione, la circolare chiarisce che:
a) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto nei limiti di cui all’articolo 4, comma 3, del DPR n. 120/2017, che risultino conformi al test di cessione e non risultino contaminate, possono essere gestite come sottoprodotti;
b) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto non contaminate e conformi al test di cessione ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2012 possono essere riutilizzate in sito in conformità a quanto previsto dall’articolo 24 del DPR n. 120/2017;
c) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto contaminate e non conformi al test di cessione ai sensi del comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 2 del 2012, in relazione ai successivi interventi normativi rappresentati dall’articolo 34, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 133 del 2014 e dall’articolo 26 del DPR n. 120/2017 sono fonti di contaminazione.
In tal caso, ai sensi dell’art. 3 comma 3 del decreto legge 25/2012, le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione devono, alternativamente e non cumulativamente, essere:
1) rimosse;
2) sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute;
3) rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti.
“La rimozione della fonte di contaminazione di cui al punto 1) avviene attraverso la bonifica. Ai sensi dell’articolo 240, comma 1, lettera p), del d.lgs. n. 152 del 2006, per “bonifica” deve intendersi “l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”. Considerato, poi, che il comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 2 del 2012 mantiene ferma la normativa delle bonifiche, è applicabile, nel caso di specie, anche la messa in sicurezza operativa ricorrendone le condizioni di legge.
Visto infine che l’articolo 240, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce “messa in sicurezza operativa” come: “l'insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell'attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all'esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione delle contaminazioni all'interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l'efficacia delle soluzioni adottate”.
Pertanto le attività di cui al punto 2) vanno intraprese in tutte quelle ipotesi in cui la normativa sulle bonifiche prevede l’applicabilità della messa in sicurezza permanente.
Le attività richiamate al punto 3), invece, vanno intraprese nel caso in cui il suolo viene escavato e ai fini del suo eventuale successivo utilizzo, non ricorrano le condizioni per la gestione in qualità di sottoprodotto o per il riutilizzo in sito, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 4, comma 3, e 24, comma 1, del DPR n. 120/2017. In tali casi si prevede il “trattamento” di tali matrici, che ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera s), del d.lgs. n. 152 del 2006 consiste in tutte quelle “operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento”.
In estrema sintesi dunque, nel caso le matrici materiali di riporto rispettino la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo, e pertanto non risultino essere contaminate, è sempre consentito il riutilizzo in situ.
Nel caso in cui nelle matrici materiali di riporto sia presente una fonte di contaminazione è necessario procedere alla eliminazione di tale fonte di contaminazione e non dell’intera matrice materiale di riporto prima di poter riutilizzare in situ il materiale di riporto stesso.”