Della relazione fra edifici efficienti e scarsa qualità dell'aria interna abbiamo parlato spesso ultimamente. Ma puntando l'attenzione sugli effetti negativi di un'aria rarefatta sulla salute e quindi relativamente al rischio di contrarre patologie asmatiche ed allergiche. Questa volta, invece, uno studio condotto da un team di ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health e pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives si sofferma su un altro aspetto: quello delle capacità cognitive degli occupanti. Le cui funzioni sarebbero notevolemente compromesse in locali scarsamente areati a causa di un elevato isolamento termico.
L'evoluzione del green building
Lo studio chiarisce subito che la progettazione green non deve essere messa sul 'banco degli imputati'. Ma dovrebbe esserci una maggiore attenzione ai livelli di ricambio d'aria, che non sono tutt'ora stabiliti con chiarezza. Niente di nuovo, verrebbe da dire.
Lo studio fa a riguardo una breve cronistoria per spiegare cosa è cambiato, in meglio e peggio, nel corso degli ultimi 50 anni.
Dal 1970, viene spiegato, si è iniziato ad intervenire sul costruito con l'obiettivo di ridurrne i consumi energetici, puntando sopratutto su una maggiore ermeticità degli edifici. Senza, però, considerare che in questo modo il rischio di inquinamento dell'aria interna sarebbe aumentato notevolmente. I ricambi d'aria erano stati stabiliti con un livello di 0,1-0,2 vol./ora.
Durante i primi anni '80 è di fatti esploso il fenomeno che viene tutt'ora definito 'sindrome da edificio malato'. Ovvero, gli occupanti hanno iniziato a soffrire di patologie riconducibili alla permanenza in ambienti poco salubri (mal di testa, disturbi respiratori, allergie, ecc). Fra le cause: eccessiva umidità, scarsa ventilazione e materiali costruttivi nocivi. Da quel momento in poi si è iniziato a riflettere sul green building, con l'obiettivo principale, oltre a quello dell'efficienza energetica, di ridurre la presenza di agenti inquinanti nell'aria. Come? Introducendo sistemi filtranti e utilizzando materiali edilizi sostenibili.
I nuovi edifici hanno quindi ridotto drasticamente la presenza di biossido di azoto, composti organici volatili (COV) e allergeni. Senza, però, dare la giusta importanza ai livelli di anidride carbonica e ai tassi di ricambio dell'aria. Che influiscono fortemente sulle capacità cognitive degli occupanti e quindi sulle loro prestazioni.
Sebbene negli ultimi anni, spiegano i ricercatori, con la bioedilizia il benessere degli occupanti, e le loro funzioni cognitive, siano migliorate grazie ad una drastica riduzione degli agenti inquinanti nell'aria, si potrebbero raggiungere dei risultati ottimali con una ventilazione adeguata. E qui torniamo alla testi di partenza, che i ricercatori hanno esposto dopo una lunga indagine sul campo.
Fase di Test
La sperimentazione ha previsto una fase di test di alcune settimane coinvolgendo un gruppo di dipendenti di un'azienda. I partecipanti hanno svolto la loro canonica settimana lavorativa in tre ambienti differenti: un edificio standard, un green building e un green building dotato di un impianto di ventilazione meccanica. Alla fine della giornata i soggetti sono stati sottoposti a dei test utilizzando il software Strategic Management Simulation (SMS), che valuta le performance cognitive. I risultati hanno mostrato che, dopo una giornata trascorsa in un edificio sostenibile, i lavoratori hanno raggiunto un punteggio medio migliorato del 64% rispetto a quello raggiunto in ambienti 'tradizionali'. La percentuale è arrivata al 100%, sempre in media, per i partecipanti che hanno lavorato in un ambiente adeguatamente ventilato.
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?Spendiamo il 90% del nostro tempo in ambienti chiusi ed è ancora scarsa l'attenzione che viene riservata al benessere degli occupanti- ha dichiarato il professor Joseph Allen, a capo del team di ricerca- Se, come abbiamo dimostrato, un lavoratore è in grado di produrre quasi il doppio se l'aria che respira è salubre, questo aspetto dovrebbe essere centrale e interessare tutti.