Da sabato mattina l’attacco di Hamas contro Israele tiene con il fiato sospeso tutto il mondo per la possibile escalation militare che potrebbe provocare, andando ulteriormente a complicare un quadro geopolitico già piuttosto compromesso dall’invasione della Russia in Ucraina.
Quasi immediatamente si è riunito in emergenza il Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite dell’Onu, dove sia l’Onu sia la Nato hanno condannato quello che è stato definito un attacco terroristico. Vi sono infatti tutti i caratteri di una offensiva militare su larga scala ma con connotati terroristici “perché in genere i militari quando fanno operazioni poi non si mettono a sparare a bruciapelo ai civili”, come ha evidenziato Stefano Stefanini, consigliere scientifico Ispi. Non a caso quindi sui media e lo stesso Stato di Israele sono stati rievocati gli attacchi dell’11 settembre 2001 che colpirono al cuore gli Stati Uniti.
Allora i mercati non la presero bene e l’economia cominciò una lunga fase turbolenta che sfociò poi con la crisi del 2007 dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers l’anno successivo. Da un punto di vista geopolitico invece la risposta americana non si fece attendere e portò, con la Seconda guerra del Golfo, alla caduta del regime iracheno di Saddam Hussein. Il conto con Osama bin Laden fu invece chiuso nel 2011 mentre quello con Ayman al-Zawahiri soltanto nel 2022.
Le conseguenze geopolitiche
Fatta questa premessa con il parallelismo degli attacchi del 2001, proviamo ora a ipotizzare gli scenari possibili. Va detto che al momento i mercati finanziari europei, sebbene in leggera flessione, tutto sommato tengono ma l’attesa maggiore è concentrata per quando apriranno quelli americani. L’amministrazione Biden ha già promesso supporto militare ad Israele. Oltre alla possibile fornitura di armi, due portaerei americane nel Mediterraneo si stanno avvicinando alle acque territoriali di Israele. Ma sappiamo anche che sul bilancio americano pesano già buona parte degli aiuti militari all’Ucraina. Insomma il governo americano si trova impegnato ora su due fronti, quando manca poco più di un anno dall’appuntamento con le prossime elezioni presidenziali.
In queste ore stiamo assistendo alla risposta militare da parte di Israele, che cercherà di neutralizzare il potenziale offensivo di Hamas. Ma questa non si può ancora definire una vera e propria escalation.
Si ragiona piuttosto su ipotesi di allargamento ad altri Paesi ma per ora questo sembra scongiurato anche perché l’Iran ha tenuto a precisare in una nota alle Nazioni Unite che “noi appoggiamo orgogliosamente e incrollabilmente la Palestina, tuttavia non siamo coinvolti nella risposta palestinese (cioè l'attacco a Israele), che è stata condotta solo dai palestinesi".
Le possibili conseguenze economiche
La prima reazione si è avvertita sui prezzi di petrolio e gas. La tensione in Medioriente ha spinto verso l'alto le quotazioni del greggio: il Brent è salito del 3,35% toccando 87,42 dollari al barile, mentre il Wti ha raggiunto 84,07 dollari al barile (+3,43 %). È aumentato anche il prezzo del gas sulla piattaforma Ttf di Amsterdam con il future novembre in progresso del 6,7% a 40,8 euro al megawattora, dopo aver toccato un massimo di 41,025 euro. E come prevedibile gli investitori tornano a guardare con interesse ai cosiddetti beni rifugio, come per esempio l’oro la cui quotazione è cresciuta dell’1,5%.
Facile inoltre immaginare che la situazione venutasi a creare in Medioriente complicherà ulteriormente il compito delle banche centrali che da più di un anno stanno cercando di domare l’inflazione e colpi di rialzi dei tassi di interesse. E quello che sembrava essere ormai essere a portata di mano, ovvero il picco dei tassi, si è già trasformato in un plafond, cioè un livello elevato dove, gli esperti temono e le banche centrali stesse non negano, i tassi resteranno per un po’ di tempo. E tutti sappiamo quando i tassi elevati, a lungo andare, possono rendere difficile la vita alle imprese, e anche alle famiglie, e ad alcuni Stati stessi, che spesso sono costretti a indebitarsi per mandare avanti la loro normale attività.
Lo scenario peggiore e imprevedibile, anche da un punto di vista economico, resta però senza dubbio quello dell’escalation militare e dell’allargamento del conflitto ad altri Paesi, in particolare a Paesi produttori di petrolio o con riserve di gas. Due nomi su tutti già fanno venire i brividi: Iran e Algeria.