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I ruderi (unità collabenti) sono più che raddoppiati rispetto al periodo pre-Imu

Confedilizia ha elaborato i dati resi noti dall’Agenzia delle entrate. Nel 2021, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 3,3% rispetto al 2020

lunedì 25 luglio 2022 - Redazione Build News

rudere

Aumentano anche nel 2021 le cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Lo segnala Confedilizia, che ha elaborato i dati resi noti dall’Agenzia delle entrate sullo stato del patrimonio immobiliare italiano.

Nel 2021, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 3,3% rispetto al 2020. Ma il dato più significativo è quello che mette a confronto il periodo pre e post Imu: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 594.094 (+ 113,61%). Con tutte le prevedibili conseguenze in termini di degrado delle aree su cui insistono.

Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che pervengono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o, in molti casi, in conseguenza di atti concreti dei proprietari (ad esempio, la rimozione del tetto) finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu, viepiù gravosa in questo periodo di grandi difficoltà per le famiglie. Va infatti ricordato che sono soggetti alla patrimoniale immobiliare – giunta a un carico di 22 miliardi di euro l’anno – persino i fabbricati definiti “inagibili o inabitabili”, ma non ancora considerati “ruderi”.

“In vista delle elezioni, la politica dovrebbe riflettere su questi dati e proporre soluzioni conseguenti”, ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. “Bisogna, ad esempio, iniziare a ridurre il macigno di tassazione patrimoniale rappresentato dall’Imu. Inoltre, quest’imposta andrebbe eliminata del tutto – eventualmente per un periodo limitato, ad esempio un quinquennio – per gli immobili dei piccoli centri, quelli situati nei nostri splendidi borghi, che tutti a parole difendono ma che vengono lasciati morire di spopolamento. Cancellare l’Imu nei Comuni fino a 3.000 abitanti avrebbe un costo di appena 800 milioni di euro annui e sarebbe un segnale per i tanti proprietari (eredi, assai di frequente) che non hanno le forze e i giusti stimoli per riqualificare i loro beni, in molti casi privi di qualsiasi possibilità di essere venduti o affittati e sui quali fra pochi anni piomberà addirittura un obbligo di riqualificazione energetica per effetto di una direttiva europea in corso di approvazione”.

Dati Agenzia delle entrate:

www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/schede/fabbricatiterreni/omi/pubblicazioni/statistiche-catastali

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