di Franco Metta
Il futuro, neanche troppo lontano, dovrà essere necessariamente sostenibile. La sfida della decarbonizzazione però è tutt’altro che facile e non ci si può permettere di sbagliare strada, proprio perché il tempo stringe.
“Bisogna identificare il miglior percorso per arrivare in modo sostenibile agli obiettivi fissati dalla Commissione Europea”. Non solo. “Poiché l’anidride carbonica prodotta dall’Europa è abbastanza trascurabile occorre convincere tutti gli altri Paesi che l’obiettivo della neutralità carbonica è comune e che occorre condividere la roadmap”. Con questo chiaro segnale Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, ha dato il via al convegno digitale “La strategia sull’idrogeno e la transizione energetica” organizzato da Il Sole 24Ore.
L’impegno europeo, lo ricordiamo, è raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050 e ridurre del 55% delle emissioni entro il 2030. In linea, più o meno, con quanto fissato da Cina, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Corea del Sud e Canada. Una delle domande che ci si pone ora, un po’ a tutti i livelli, da quello politico a quello imprenditoriale è: riuscirà l’idrogeno verde a trainare la transizione green?
Idrogeno verde: le criticità attuali
L’idrogeno verde è quello a zero emissioni di carbonio che può essere prodotto dall’acqua tramite elettrolisi fornita dall’energia elettrica prodotta da energia rinnovabile o nucleare. La risposta plausibile passa necessariamente attraverso il superamento delle attuali criticità: da un lato il nodo dei costi di produzione, dall’altro la questione delle infrastrutture di distribuzione e stoccaggio.
Sul primo punto tutti gli intervenuti al convegno si sono trovati sostanzialmente d’accordo. Il nodo dei costi può essere sciolto solo con economie di scala. Oggi il costo dell’idrogeno verde è più del doppio dell’idrogeno blu, prodotto dal gas naturale e secondo molte analisi non potrà essere competitivo prima del 2030, quando i costi delle energie rinnovabili e degli elettrolizzatori diminuiranno.
Renato Mazzoncini, Ceo di A2A, sostiene che “la soluzione più immediata sarebbe l’esenzione o quantomeno la riduzione degli oneri di sistema”. Dello stesso avviso Nicola Monti, Ceo di Edison, che per incentivare l’idrogeno pensa a un onere di vettoriamento più leggero per la corrente utilizzata nel processo di estrazione dell’idrogeno dall’acqua.
Sul fronte delle infrastrutture sono intervenuti in molti. Alberto Dossi, presidente di Sapio, ritiene che qualche adeguamento normativo potrebbe favorire lo sviluppo di depositi di stoccaggio e di una rete di punti di rifornimento, che in Italia è ancora limitata. Paolo Galli, Ceo di Italgas, è convinto che le reti debbano diventare sempre più flessibili e intelligenti per accogliere gas diversi e auspica che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) preveda un supporto alla digitalizzazione. Per Marco Alverà, Ceo di Snam, “Il bello dell’idrogeno è che non solo è molto versatile, ma si può trasportare con infrastrutture già esistenti”. Dal 1986 Snam è stata pioniera perché ha utilizzato solo acciaio già pronto e certificato per il passaggio di idrogeno al 100%. Ora però servono reti dedicate ai biogas, all’idrogeno e anche per l’anidride carbonica se si intende stoccarla.
Fabio Tamburini, Direttore del Sole 24Ore, e Roberto Cingolani, Ministro Transizione Ecologica
Per favorire e dare maggiore impulso alle rinnovabili infine molti degli interventi hanno puntato sullo snellimento delle procedure autorizzative: su questo, sebbene la stesura del Pnrr non sia ancora ultimata, lo stesso ministro Cingolani ha riconosciuto che serve “un’azione molto decisa sia sulla semplificazione delle operazioni sia sulla catena dei permessi”. Dopo Pasqua, quindi a breve, sarà presentato un pacchetto di idee condivise con i ministri Brunetta (Pa) e Giovannini (Infrastrutture) che sono i più coinvolti in questa fase.
Recentemente sul tema rinnovabili e idrogeno verde è intervenuto anche Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente, auspicando che il G20 sotto la presidenza italiana possa promuovere un’alleanza globale sulle energie rinnovabili e sull’interconnessione delle reti elettriche. Il Recovery Fund, insomma, è visto come un treno che passa una volta sola e il timore di tutti gli stakeholder, neanche troppo velato, è quello di non riuscire a coglierne appieno le opportunità.