Il video del picchio che scava un buco all’interno di una facciata rivestita con un cappotto termico a Bologna ha fatto molto discutere, in tempi di grande fermento per le riqualificazioni edilizie: l’isolamento termico a cappotto è uno dei principali strumenti di efficientamento energetico degli edifici, e sta vivendo un periodo di forte crescita della domanda grazie al Superbonus e al Bonus Facciate.
Come abbiamo già scritto, è impossibile giudicare da un video la qualità di un intervento edilizio. Quello che è certo, è che un cappotto termico realizzato e posato correttamente – con la sua rete d’armatura in fibra di vetro – non permette a un picchio o ad altri volatili di “scavare” un buco all’interno del pannello. Lo ribadisce anche l’ing. Federico Tedeschi, Coordinatore della Commissione Tecnica del Consorzio Cortexa:
Un Sistema a Cappotto realizzato secondo rigorosi criteri di qualità è in grado di resistere ad aggressioni anche molto violente. È infatti importante sapere che il processo di certificazione dei sistemi ETICS, basato su test e prove molto severi e rigorosi, tiene conto di manifestazioni inaspettate e violente e dei cambiamenti climatici.
A quali test viene sottoposto un sistema a cappotto?
Innanzitutto – spiega l’ing. Tedeschi – viene eseguita una prova in camera climatica, che porta i sistemi a temperature oltre i 70 °C, con cicli caldo-freddo che li fanno scendere in pochi minuti sottozero, cicli di bagnatura seguiti da cicli di raffreddamento che li fanno congelare, fino a –20°C, e poi scongelare. A conclusione di tali test non devono verificarsi né crepe né distacchi. Le prove sui collanti e sull’adesione dei vari strati prevedono resistenze dell’ordine di molte tonnellate al metro quadrato, oltre ogni possibile sollecitazione provocata da un evento naturale. E i fissaggi meccanici possono essere dimensionati in funzione del carico massimo del vento, con prove di verifica anche in dimensioni reali.
Per quanto riguarda le “aggressioni” esterne, come quella del picchio in questione – prosegue l’ing. Tedeschi – “tutto dipende dalla resistenza superficiale con il quale il cappotto è stato progettato e realizzato.”
Per nostra esperienza, Sistemi a Cappotto con resistenza alla perforazione di almeno 10 J, che è una resistenza ‘standard’, non sono di gradimento per i picchi, che non trovano agevole ‘beccarli’. Per aumentare le resistenze superficiali è possibile poi realizzare sistemi che non vengono perforati con urti da 20 J, o che resistono a fenomeni che difficilmente possono verificarsi, come pallate di grandine che viaggiano a 120 km/h e investono le superfici a 45 gradi di inclinazione, che corrispondono a oltre 25 J di energia, e arrivare fino a Cappotti che non subiscono danni per urti di 60 J.
“Tutto ciò – conclude Tedeschi – funziona se il Sistema a Cappotto viene fornito come kit testato e certificato da un unico produttore, quindi dotato di ETA e marcatura CE, progettato secondo quanto previsto dalla norma UNI 11715:2018 e dal Manuale Cortexa e posato a regola d’arte, preferibilmente da posatori le cui competenze siano state certificate secondo la norma UNI 11716:2018”.