Il settore del computational design è in costante ascesa e promette una maggiore efficienza e razionalizzazione del processo di sviluppo di progetti architettonici e al contempo una trasformazione forse radicale del ruolo dell’architetto. Come ogni novità, le prospettive da un lato entusiasmano e dall’altro spaventano. E’ ragionevole che gli architetti abbiamo il timore di essere soppiantati da un programma che digitalizza molte fasi del lavoro tradizionale?
Cos’è il computational design?
Ma andiamo per passi. Cosa si intende per computational design in architettura? Si tratta sicuramente di un’evoluzione del Computer Aided Design (CAD) verso una logica di progettazione molto più complessa, dove la rappresentazione è sostituita dalla simulazione e dalla generazione di sistemi integrati. Il design computazionale è un sistema basato su linguaggi di programmazione visuale evoluti che comprendono diverse attività, che vanno dalla gestione di Big Data alla generazione automatizzata di forme.
L’automazione impatterà sul processo di progettazione
Siamo chiaramente ancora agli albori di questa ‘rivoluzione’ ma in un recente articolo a firma Marc Howe apparso sul portale specializzato sourceable.net si approfondisce la questione riportando la testimonianza di Will Gow, BIM Manager dello studio australiano Cox Architecture.
“I computer- riferisce Gow- sono già in grado di sviluppare autonomamente progetti architettonici in grado di soddisfare la maggior parte dei criteri oggetti di progettazione. L'automazione delle principali fasi di un processo di progettazione avrà un profondo impatto sul settore dell'architettura, riducendo l'intensità, le tempistiche e i costi del lavoro.”
Una rivoluzione più grande di quella del BIM
"Dal mio punto di vista- prosegue Gow- l’impatto della cosiddetta progettazione generativa sarà molto più forte di quello provocato dai sistemi BIM perché il computational design sostituisce di fatto alcune mansioni dell’architetto, come quelle dell’ideazione, discussione e analisi nelle fasi iniziali.”I vantaggi economici, secondo il manager, saranno enormi e non andranno a discapito della validità e bellezza di un progetto, perché è convinto che nel giro di poco tempo i programmi digitali saranno in grado di rispettare non solo criteri oggettivi, come standard edilizi, costi e prestazioni del sistema-edificio, ma anche esigenze di stile. Grazie all’apprendimento automatico, i programmi di design digitale riusciranno a ‘capire’ lo stile desiderato e riprodurlo.
Architetto, un lavoro a rischio?
Questa prospettiva mette chiaramente in discussione il ruolo dell’architetto o perlomeno ne rende necessaria una trasformazione, un cambiamento di ruolo. Ma non una radicale sostituzione, secondo Gow: “gli architetti saranno necessari per prendere le decisioni soggettive necessarie in qualsiasi processo di progettazione architettonica."
Insomma, i motivi di preoccuparsi ci sono ma il settore dell’architettura a livello mondiale, ha un urgente bisogno di questa evoluzione, data la mole di lavoro che si prospetta nei prossimi anni.
"Entro il 2050- dice Gow- avremo bisogno di 33 milioni di edifici per ospitare 3,5 miliardi di esseri umani. Si tratta di numeri enormi e l’uomo da solo non è in grado di soddisfarli. Essere aiutati da una macchina per espletare alcune mansioni non è un dramma, ma solo un’interessante prospettiva.”
Serve un cambiamento di mentalità
Eppure la tecnologia stenta a decollare, se non in grandi realtà molto reattive ai cambiamenti evolutivi. Perché? Secondo Gow ciò che manca è la competenza e formazione degli architetti, in molti casi ancora radicati al loro metodo di lavoro tradizionale e una forma molto diffusa di conservatorismo.
“Gli architetti- conclude il manager- non amano definirsi conservatori ma in molti casi lo sono molto di più degli ingegneri, che da tempo hanno adottato una serie di strumenti digitali per lo svolgimento del loro lavoro. L’innovazione tecnologica non dovrebbe spaventare.”