di Antonio Buzzi, Coordinatore Commissione Ambiente ed Economia Circolare, Federbeton – Federazione di settore delle Associazioni della filiera del cemento, del calcestruzzo, dei materiali di base, dei manufatti, componenti e strutture per le costruzioni, delle applicazioni e delle tecnologie ad essa connesse
È bene ricordarlo: il calcestruzzo è un materiale completamente riciclabile e può essere prodotto recuperando, anche in misura incrementale rispetto ai livelli attuali, i cosiddetti C&D e cioè i rifiuti da costruzione e demolizione. Non solo. Gli aggregati naturali provenienti da cava possono essere sostituiti da materiali industriali o da scarti di altri processi (scorie di acciaieria, etc). A fine vita, il calcestruzzo può essere riciclato come materiale utile alla produzione di nuovo calcestruzzo o per altre applicazioni, come i sottofondi stradali, ma anche in usi strutturali.
In questo senso, la filiera del cemento e del calcestruzzo è in grado di contribuire in maniera attiva e positiva al successo dell’economia circolare. Le imprese – rappresentate da Federbeton – sono già pronte a fare la propria parte: il settore del calcestruzzo è in grado di assorbire materiali riciclati in misura assai maggiore rispetto a quanto accade oggi. Ipotizzando di poter sfruttare al massimo le potenzialità di sostituzione offerte dal calcestruzzo, si può stimare un risparmio di aggregati naturali e, di conseguenza, un mancato conferimento in discarica di materiali di scarto del settore delle costruzioni e demolizioni di 15 milioni di tonnellate, sulla base di una produzione di circa 27 milioni di metri cubi di calcestruzzo registrata nel 2018. Ad ostacolare la diffusione delle buone pratiche di recupero è l’assenza in Italia di una cultura che favorisca, a livello burocratico e di filiera, la selezione e la differenziazione dei C&D.
La revisione della Direttiva Quadro rifiuti ha rappresentato un passo avanti, perché promuove sistemi di selezione dei rifiuti C&D per la separazione di varie frazioni, tra cui quelle minerali da cui provengono gli aggregati. Molto resta però da fare, soprattutto considerando le difficoltà legate alle tecniche di demolizione applicate nel nostro paese. In Italia prevalgono le micro-demolizioni, che di fatto contaminano il calcestruzzo con vetro, mattoni o intonaci. Ne risulta un materiale non adatto ad un utilizzo strutturale, ma solo a riempimenti o sottofondi. Demolizioni selettive o filiere di vera e propria differenziazione dei C&D restano le uniche soluzioni percorribili.
Una condizione indispensabile per poter intraprendere un’adeguata politica di gestione dei rifiuti C&D e, inoltre, la conoscenza dei dati relativi sia alla produzione sia al recupero. La fonte nazionale ufficiale di questi dati è ISPRA, che pubblica annualmente il Rapporto sui Rifiuti Speciali: le rilevazioni 2016 evidenziano come la produzione di rifiuti C&D sia stata superiore ai 53 milioni di tonnellate, pari al 41% del totale dei rifiuti prodotti, con un presunto tasso di recupero del 76%. Un dato che si attesterebbe già oltre il target del 70% previsto per il 2020 dalla CE.
Anche per ISPRA, tuttavia, l’ambito dei rifiuti speciali C&D implica un margine di incertezza sia in termini di quantità che di qualità. La ragione risiede nella non completa tracciabilità dei flussi, causata in parte dall’applicazione della normativa e in parte dal cosiddetto “sommerso”, che si stima essere consistente soprattutto in alcune zone del Paese. Sarebbe dunque opportuno attivare, a livello nazionale, un sistema di monitoraggio della produzione e gestione dei rifiuti da C&D, con le stesse metodologie usate per gli altri flussi di rifiuti (es. Rifiuti urbani e Speciali).
Tra luci e ombre, la direzione è chiara: tradurre il potenziale inespresso di sostenibilità della filiera del cemento e del calcestruzzo in progetti concreti, in pratiche codificate e in contributi fattivi all’economia circolare in Italia.