“La legge regionale n.62 del 16-12-2019 della Regione Calabria, che modifica il comma 1 dell’articolo 6 della Legge regionale 11 agosto 2010, n. 21 (Misure straordinarie a sostegno dell’attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale), è censurabile, relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 1, per i motivi di seguito specificati, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, relativo alla materia di “sicurezza” di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rimessa, peraltro, allo Stato stesso anche con riguardo alle possibili forme di coordinamento con le Regioni (art. 117, secondo comma, lettera h) e 118, terzo comma della Costituzione)”.
Lo ha deciso il Consiglio dei ministri n. 28 del 6 febbraio, che ha impugnato la suddetta disposizione dinanzi alla Corte costituzionale.
In particolare , l'articolo 1, comma 1, sostituisce il comma 1 dell’art. 6 della l.r. n. 21 del 2010, già più volte modificato. La disposizione come sostituita prevede che: “1. Gli interventi previsti negli articoli 4 e 5 nonché nel presente articolo, possono essere realizzati su immobili esistenti alla data del 31 dicembre 2018, ivi comprese le unità collabenti regolarmente accatastati presso le rispettive agenzie del territorio oppure per i quali, al momento della richiesta dell’intervento, sia in corso la procedura di accatastamento”.
In disparte la circostanza che le modifiche apportate alla disposizione in commento si sono succedute in un breve lasso di tempo, potendo, così, condurre a distorsioni applicative, viene altresì in rilievo, la soppressione del riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018.
Al riguardo, per il primo aspetto, occorre evidenziare anche nel caso di specie, che in particolare, la sentenza n, 107 del 2017, il Giudice delle leggi ha avuto modo di osservare che “7.2.2 – Vero è che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ogni incoerenza o imprecisione di una norma può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità (sentenze n. 86 del 2017 e n. 434 del 2002). Nondimeno, la stessa è invece censurabile, alla luce del principio di razionalità normativa, qualora la formulazione della stessa sia tale da poter dare luogo ad applicazioni distorte (sentenza n. 10 del 1997) o ambigue (sentenza n. 200 del 2012), che contrastino, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell’azione amministrativa, secondo principi di legalità e di buona amministrazione”. “7.2.3 – d’altro canto questa Corte ha già chiarito che, a differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale, giudizio concreto e senza parti necessarie, il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente, come possibili (sentenza n. 412 del 2004; sentenza n. 3 del 2016). Orientamenti, questi, che sebbene elaborati in riferimento ai requisiti di ammissibilità, servono altresì ad evidenziare che nel giudizio in via d’azione vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative; e ciò ancor di più nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative (sentenze n. 49 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003). Si è parimenti affermato, con riferimento anche all’impugnativa regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime “per irragionevolezza”… norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorché a norme siffatte esse debbano attenersi nell’esercizio delle proprie prerogative di autonomia” (sentenza n. 160 del 2016). Ciò vale, a maggior ragione, nel caso in cui l’ambiguità semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio di un’elusione del principio fondamentale stabilito dalla norma statale. In questa ipotesi, l’esigenza unitaria sottesa al principio fondamentale è pregiudicata dal significato precettivo non irragionevolmente desumibile dalla disposizione regionale: lungi dal tradursi in un mero inconveniente di atto, l’eventuale distonia interpretativa, contraddittoria rispetto alla norma statale, costituisce conseguenza diretta della modalità di formulazione della disposizione, che deve essere dichiarata, dunque, incostituzionalmente illegittima. Infine, nella sentenza n. 89 del 2019, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purché non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate (ex multis sentenza n. 103 del 2018, punto 4.1. del Considerato in diritto). Nel giudizio in via principale possono dunque essere dedotte “anche le lesioni in ipotesi derivanti da distorsioni interpretative delle disposizioni impugnate (sentenza n. 270 del 2017, punto 4.2 del Considerato in diritto).
LE NTC NON POSSONO CHE AVERE APPLICAZIONE UNIFORME SULL’INTERO TERRITORIO NAZIONALE. Quanto al secondo dei profili cui si è accennato, la soppressione del riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018, induce a ritenere che la volontà del legislatore regionale sia quella di consentire la realizzabilità degli interventi a prescindere dal rispetto del predetto decreto. In proposito, ritenendo, anche per tale aspetto, valide le considerazioni espresse dalla Consulta nelle sentenze sopra richiamate, si rappresenta altresì, che la citata disciplina ministeriale fornisce i criteri generali di sicurezza, previsa le azioni che devono essere utilizzate nel progetto, definisce le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e, più in generale, tratta gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere (cfr. Capitolo I, punto 1.1, paragrafo 2). Le norme tecniche per le costruzioni, pertanto, attengono ad aspetti che riguardano la “sicurezza” delle costruzioni e non possono che avere applicazione uniforme sull’intero territorio nazionale, essendo ispirate alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento. In particolare, con la sentenza n. 21 del 2010, il Giudice delle leggi ha per la prima volta, ed espressamente, affermato che la materia della sicurezza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, non si esaurisce nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell’interesse generale all’incolumità delle persone. In tal sede, è stato argomentato che una disciplina che attenga a profili di sicurezza delle costruzioni, collegati ad aspetti di pubblica incolumità è riconducibile alla materia della sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma lettera h) della Costituzione. Significativo, alo riguardo, è il passaggio della citata sentenza, laddove la Corte costituzionale giunge ad affermare che “La norma impugnata non trova posto invece nella materia del governo del territorio nel cui ambito rientrano gli usi ammissibili del territorio e la localizzazione di impianti o attività (Sentenze n. 307 del 2003, n. 336 e 383 del 2005, n. 237 del 2009), ma non la sicurezza delle costruzioni; e neppure nella materia della “tutela della salute”, per quanto questa abbia assunto, dopo la riforma del Titolo V della parte II Costituzione, un significato più ampio rispetto alla precedente materia dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, giacché il profilo della pubblica incolumità si differenzia concettualmente da quello della prevenzione sanitaria”.
A ciò si aggiunga che la Corte costituzionale ha affermato che il potere di riconoscere le ragioni particolari che impediscono il rispetto delle norme tecniche è affidato al Ministro per le infrastrutture e trasporti (art. 88 del d.P.R. n. 380 del 2001) in quanto in quest’ambito, “il legislatore ha inteso dettare una disciplina unitaria a tutela dell’incolumità pubblica, mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il territorio nazionale, in un settore nel quale entrano in gioco sia l’alta tecnicità dei provvedimenti in questione sia l’esigenza di una valutazione uniforme dei casi di deroga” (sentenza n. 254 del 2010).