Con una nota, Isde Italia, Medicina Democratica e l’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse Gcr di Parma esprimono “sconcerto e rammarico” per la puntata di Report del 18 ottobre scorso in cui è stato affrontato il tema dell’utilizzo del grasso animale come combustibile.
Nella puntata viene tra l'altro spiegato che la direttiva europea recepita dai ministeri della Salute e delle Politiche agricole classifica il grasso animale come combustibile per produrre energia rinnovabile, mentre quello dell’Ambiente non si è aggiornato. Così è il burocrate locale che decide se un impianto può funzionare, o deve essere bloccato.
“Un comune spettatore, non informato in merito al problema della combustione dei grassi animali (rifiuti della macellazione, in soldoni), non ha ricavato alcuna informazione utile, anzi informazione di parte, della parte che vuole lucrare bruciando sottoprodotti animali e intascando gli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Va ricordato – sottolineano Isde Italia, Medicina Democratica e Gcr di Parma - che la materia presenta diversi aspetti sensibili che riguardano sia la sanità veterinaria (Ministero della Salute) sia la gestione dei rifiuti (Ministero dell’Ambiente) ed è stata oggetto di numerose norme europee”.
Secondo le tre associazioni “La trasmissione anziché affrontare questo tema appariva impostata su un compassionevole atteggiamento di benevolenza e solidarietà nei confronti di un “povero” imprenditore di motori “a grasso animale” che sarebbe stato vessato dalla burocrazia come da comitati che – contro ogni evidenza dei “benefici” universali - contrastano la scelta di utilizzare questi scarti di macellazione come combustibili”.
LE INFORMAZIONI NON FORNITE O INESATTE
Gli scarti di macellazione ed i grassi da sempre sono sempre stati riutilizzati in particolare nella produzione di alimenti per animali di compagnia, solo di recente, “grazie” ad una logica prettamente economico-affaristica, è stato incentivato il loro utilizzo come combustibili. Queste decisioni però sono silenti sul fatto che bruciando un combustibile (anche “naturale”) vi sono degli impatti ambientali che non ci sono – o sono ridotti – quando lo stesso rifiuto viene riciclato (per non dire di una seria valutazione della filiera complessiva a partire dagli allevamenti intensivi e all’elevato consumo di carne nei paesi occidentali).
Durante il programma poi non è stata fornita alcuna informazione sul fatto che i sottoprodotti animali hanno avuto una particolare attenzione dalle istituzioni europee a partire della crisi dovuta al “morbo della mucca pazza” (BSE). Sono suddivisi in 3 categorie e la 1 è quella a maggior rischio di contaminazione proprio in quanto comprende materiale sospetto per BSE e pertanto, ove lo si voglia bruciare in “sicurezza”, deve essere incenerito in caldaie che raggiungano i 1.100°C (fino a pochi anni fa solo inceneritori e cementifici potevano bruciare questi rifiuti), nonostante la Sanità Veterinaria consideri i 133° la temperatura in grado di inattivare il Prione della BSE, lasciando poi il rifiuto alla sua gestione con i 1100° e in questo caso alla postcombustione dei fumi.
Purtroppo il 15 luglio 2014 (durante la Presidenza UE dell’Italia), in contrasto con precedenti decisioni, la UE ha impropriamente deciso che i normali motori a combustione interna (tipo diesel per intenderci), in cui vengono raggiunte temperature relativamente basse, sono equiparabili a tali caldaie, creando quindi un potenziale ulteriore rischio per la salute umana in merito alla produzione di inquinanti. Su questa decisione sono in corso interrogazioni a Bruxelles e vari autorevoli funzionari hanno espresso seri dubbi al riguardo.
Va segnalato che l’unico sistema per incrementare la temperatura e la sicurezza è quello di applicare a tali motori semplici un postcombustore che utilizza fonti fossili (es. metano), presente nella norma 592/2014 ed imposto dall’ENVI, ma questo determinerebbe un problema economico per i gestori di questi impianti: l’equiparazione ha l’unico obiettivo di rendere profittevole la moltiplicazione di piccoli impianti alimentati a grassi animali senza curarsi dei maggiori impatti ambientali dovuti anche alle modalità della combustione.
Nel corso della trasmissione nessun accenno è stato fatto ai numerosi contaminanti provenienti dalla combustione dei sottoprodotti alimentari, incluse le diossine, sostanze presenti nella catena alimentare e nella filiera di trasformazione: basse temperature di combustione non le distruggono e favoriscono la formazione ex novo da altre sostanze chimiche precursori (cloro e sostanze organiche di tipo benzenico).
Questi impianti vengono presentati come progetti per “BIOMASSE, FONTI RINNOVABILI, SOTTOPRODOTTI”: in realtà i grassi animali spesso vanno classificati come RIFIUTI, e se si vuole bruciare dei rifiuti lo si dovrebbe poter fare solo alle rigorose condizioni previste per gli inceneritori.
Spesso i rappresentanti del sistema lobbistico dei grassi citano come modelli quelli del Sud America nei quali la distinzione fra sottoprodotto e rifiuto non avviene. Dalle multinazionali della macellazione l’Europa viene additata come istituzione non aggiornata ai nuovi utilizzi dei sottoprodotti animali (di qualunque categoria), ad esempio in Europa non è permesso l’uso nei cosmetici di un grasso proveniente da uno scarto di macellazione classificato come rifiuto. Utile a questo proposito sarebbe stato parlare dell’operazione “oro colato” di Andria del Corpo Forestale dello Stato nel 2012, con oltre 60 avvisi di garanzia proprio per la trasformazione “cartacea” di rifiuti di categoria 1 (pericolosi) in categoria 3 (non pericolosi).
Report, parlando della Regione Emilia Romagna, non ha ricordato il fatto che si tratta di una delle regioni più inquinate d’Europa e moltiplicare gli impianti di questo tipo non fa altro che peggiorare la qualità dell’aria e la salute dei suoi abitanti.
Perché fare apparire Bergamo e Modena come città che affrontano “burocraticamente” il problema quando invece sono i due enti che, nel dubbio interpretativo, hanno chiesto pareri ai Ministeri della Salute e dell’Ambiente? Avendo peraltro in risposta (circolare ministeriale del 2012) una nota in cui i grassi animali avviati a combustione erano da considerare come dei “rifiuti” in base alla legislazione vigente.
Nello stesso periodo la Regione Emilia Romagna ha emesso un documento chiarificatore in cui si definiscono i grassi di categoria 1 (i peggiori) quali sono ovvero rifiuti e non quali fonti rinnovabili o sottoprodotti e quindi non possono rientrare tra i “combustibili da biomasse” come invece affermato nella trasmissione?
Perché neppure un accenno è stato fatto alle autorizzazioni non rilasciate grazie a comitati di cittadini che si sono opposti a questi progetti con il supporto di tecnici preparati, con motivazioni tecniche e ambientali ineccepibili?
IMPOSTAZIONE ERRATA. In conclusione, per Isde Italia, Medicina Democratica e l’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse Gcr di Parma è stata data al programma “una impostazione errata: l’obiettivo non era quello di discutere, sentendo diverse opinioni, sulle modalità di gestione di questi rifiuti particolari ma, aprioristicamente, sulla necessità e bontà di smaltire i grassi di scarto della lavorazione delle carni con la combustione (non controllata) in motori diesel. In questo caso, anche involontariamente, Report si è accodato a chi specula su questi argomenti facendo passare la produzione energetica dai grassi animali come una attività positiva e rispettosa dell’ambiente quando in realtà quello che interessa sono solo i guadagni prevedibili grazie a incentivi immotivati, lasciando gli impatti ambientali e sanitari sulle popolazioni esposte. Non dovrebbe essere sufficiente, per i redattori di Report, che queste lobbies siano così potenti da far modificare le norme anche in sede comunitaria per schierarsi acriticamente dalla parte degli speculatori. Una trasmissione che ha fatto della cultura dell’approfondimento critico e della analisi dei fatti il proprio cavallo di battaglia e per questo è diventata il punto di riferimento di milioni di cittadini, si allinei, in questo caso, ai poteri forti dei “signori della combustione e incenerimento comunque e dovunque” non può che deluderci e spingerci a segnalare i fatti. Non è colpa dei cittadini se il mercato è fermo e se i motori di quell’imprenditore sono spenti: le colpe sono da ricercare in quei funzionari delle Provincie e delle ASL che hanno dato pareri preventivi favorevoli agli imprenditori, dicendo che – in presenza di una normativa non chiara – era possibile comunque realizzare il progetto, quando la realtà è ben diversa e sconsiglia l’uso di questi scarti per ottenere energia”.
Le tre associazioni chiedono quindi che “si proceda ad adeguata rettifica o venga almeno dato spazio di replica sentendo tecnici e rappresentanti di comitati di diversa opinione”.
La replica delle aziende coinvolte
Con una nota pervenutaci in redazione, l'Ing. Roberto Colla replica al comunicato di Isde Italia, Medicina Democratica e l’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse Gcr di Parma. L'ingegner Colla è l'imprenditore di motori “a grasso animale” intervistato dal giornalista nella puntata di Report.
“La temperatura di scoppio in un motore endotermico Diesel – precisa l'imprenditore - raggiunge 2.500 °C. Le tre sigle ambientaliste parlano convinte di basse temperature raggiungibili nei motori, affermando che le prescrizioni obbligano il bioliquido ad almeno 1.100 °C. Nei motori invece ne abbiamo più del doppio! Ma loro evidentemente non lo sapevano. Ora lo sanno.
Da questo loro errato concetto ne discende che occorre un post-combustore a gas metano per raggiungere le temperature.......non sapevano che la temperatura nel post-combustore arriva mediamente alla metà circa di un motore Diesel. ”.