È illegittimo far derivare dalla condanna per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche l’incapacità ad avere rapporti con le pubbliche amministrazioni. Questo delitto non è, di per sé, indice di appartenenza a un’organizzazione criminale. A differenza dei delitti più gravi indicati nell’articolo 51 del Codice di procedura penale, non ha natura associativa, non richiede la presenza di un’organizzazione ed è punito con pene più lievi. Si tratta quindi di una misura sproporzionata rispetto al contrasto all’attività mafiosa e tale da provocare danni elevati alla libertà di iniziativa economica.
È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n.178/2021 depositata il 30 luglio (redattore il vicepresidente Giuliano Amato) dichiarando illegittimo l’articolo 24, primo comma, lettera d), del dl n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018, che ha aggiunto la truffa aggravata prevista dall’articolo 640-bis del Codice penale ai delitti dell’articolo 51, comma 3-bis, del Codice di procedura penale per i quali la condanna, anche non definitiva, purché confermata in appello, fa scattare la comunicazione interdittiva antimafia.
La Corte ha ricordato che quello dell’articolo 640-bis del Codice penale è già considerato un “reato spia” al fine dell’applicazione delle misure di prevenzione antimafia e dell’informativa antimafia, in base all’articolo 84, comma 4, del Codice antimafia. Inoltre, gli articoli 32-ter e 32-quater del Codice penale consentono di aggiungere alla pena principale anche quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione.
In via conseguenziale, l’illegittimità costituzionale è stata estesa all’inserimento (anch’esso previsto dal dl n. 113 del 2018) del delitto di truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico, tra i reati produttivi dei medesimi effetti interdittivi. Si tratta, infatti, di un reato punito con pene più lievi rispetto alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, riguardo al quale, dunque, la scelta legislativa risulta ancora più sproporzionata ed eccessiva.
In allegato la sentenza