La quasi totalità delle abitazioni e degli edifici ad uso civile (99%) è dotata di un impianto elettrico e il 96,7% delle abitazioni, quasi 30 milioni, ha una utenza elettrica attiva. Tra le utenze per residenti circa 22,4 milioni, il 92%, ha una potenza massima contrattuale pari o inferiore ai 3 kW. Nel 2018 si è registrato un incremento del numero di impianti elettrici oggetto di interventi (+2,7% rispetto all’anno precedente), per un totale di poco più di 680.000 interventi, quasi equamente distribuiti tra: ampliamento degli impianti; ristrutturazione di vecchi impianti; installazione di impianti nuovi.
I dati sulla sicurezza, però, non sono affatto rassicuranti: le abitazioni con impianti elettrici non a norma sono poco meno di 12 milioni e ogni anno vi sono oltre 45.000 incidenti domestici, tra cui anche incidenti mortali.
Il rinnovamento dei vecchi impianti elettrici rappresenta un’opportunità da cogliere anche dal punto di vista economico, sia per le imprese installatrici, sia per gli amministratori di condominio: a novembre una delibera di ARERA – l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – ha avviato infatti una procedura per l’ammodernamento delle “colonne montanti” negli edifici più datati, che prevede rimborsi fino a 1200 per appartamento coinvolto e fino a 900 euro per ogni piano. Il piano sperimentale durerà tre anni, dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2022, e si rivolge agli impianti realizzati prima del 1970, o tra il 1970 e il 1985 se ritenuti critici.
D’altra parte, rifare l’impianto elettrico è una condizione spesso necessaria, ma non sufficiente a garantire pienamente la sicurezza: serve anche piena consapevolezza da parte degli utenti, a partire dai piccoli accorgimenti quotidiani che possono servire a scongiurare incidenti. Ne abbiamo parlato con Guido Pesaro, Responsabile nazionale di CNA Installazione Impianti.
Quali sono le principali criticità che si rilevano negli impianti elettrici condominiali?
Innanzitutto la mancanza del nodo o collettore generale di terra (es. pozzetto) per la misura della resistenza di terra, ma anche il conduttore di terra con sezione insufficiente, non protetto meccanicamente; la mancanza dell’interruttore differenziale (il cosiddetto “salvavita”) nelle parti comuni dell’edificio; il degrado o il danneggiamento dell’isolante dei conduttori e degli apparecchi elettrici; una sezione dei conduttori insufficiente in relazione ai dispositivi di protezione installati; la presenza di interruttori, prese e pulsanti in luoghi potenzialmente esposti alla pioggia; l’impianto di protezione da fulmini non conforme al progetto o in cattivo stato. Spesso e volentieri, tra l’altro, gli amministratori hanno difficoltà nel rinvenire la dichiarazione di conformità dell’impianto, con relativi allegati obbligatori, e il progetto dello stesso. Bisogna sempre tenere presente che il mero funzionamento dell’impianto non è di per sé indice di sicurezza ed affidabilità, aspetti che possono essere confermati solo con gli opportuni controlli.
Secondo i dati, i condomini senza impianti di terra sono uno su tre. Com’è possibile una situazione del genere?
Per la maggior parte si tratta di condomini realizzati prima del 13 marzo 1990, data di entrata in vigore della legge 46/90, successivamente sostituita dal DM 37/08. In base all’art. 7 della legge 46/90 tutti gli impianti elettrici dovevano essere adeguati alla regola dell’arte entro tre anni. Inutile dire che in molti non hanno adempiuto a quest’obbligo, in primo luogo per l’assoluta mancanza di controlli, che invece vengono fatti sugli impianti termici sia in termini di sicurezza che di efficienza, ma anche perché gli utenti, nella loro stragrande maggioranza, sono convinti, anche senza avere conoscenze tecniche adeguate per affermarlo, che i loro impianti siano sicuri ed efficienti. Ma se si chiede se il proprio impianto è dotato di messa a terra o di salvavita non sanno rispondere con certezza.
Guido Pesaro
Insomma, c’è anche una certa ignoranza da parte dei singoli utenti.
Esatto. È abbastanza vasto il campionario degli errori, ma sarebbe meglio chiamarli pericolosi obbrobri, che si riscontrano nelle nostre case in tema di sicurezza degli impianti elettrici: si parte dalle prolunghe e dai cavi elettrici degli apparecchi sparsi per la stanza con il conseguente rischio d’inciampare, per proseguire con gli adattatori non a norma per le prese elettriche, con scosse e cortocircuiti quasi all’ordine del giorno. Le prolunghe spesso non sono adeguate alla potenza dell’elettrodomestico collegato, condizione questa che può provocare il surriscaldamento dei cavi con il conseguente rischio di incendi, e spesso le distanze di sicurezza tra prese e vasca da bagno o doccia non vengono rispettate. Non è inoltre infrequente che un singolo condomino abbia la necessità di aumentare la potenza elettrica del proprio impianto, modificando il contratto con l’azienda erogatrice. Questo può comportare problemi e danni alle condutture elettriche condominiali o a quelle che alimentano le altre unità immobiliari, in quanto l’aumento della corrente che percorre un cavo può produrre un aumento della caduta di tensione che può creare problemi al regolare funzionamento degli utilizzatori, il surriscaldamento dei conduttori con conseguente degrado dell’isolante dei cavi, il trasferimento del proprio calore ai cavi che alimentano le altre unità immobiliari o quelli condominiali con conseguente invecchiamento dell’isolante dei cavi e rischio di corto circuito e incendio.
Negli ultimi anni, il CEI ha più volte messo mano alla norma tecnica 64-8, stabilendo le dotazioni minime dell’impianto di una unità immobiliare e introducendo 3 diversi livelli prestazionali e di fruibilità dell’impianto a cui fare riferimento per la realizzazione dell’impianto elettrico domestico (1 base, 2 standard, 3 domotico). Ma le imprese conoscono la norma?
CNA Installazione Impianti ha svolto un’indagine presso i propri associati, per analizzare il grado di conoscenza da parte delle imprese: abbiamo sottoposto un questionario a circa 350 imprese prima dell’inizio di iniziative e convegni sulla norma organizzati su tutto il territorio nazionale. Bisogna premettere, quindi, che non si è trattato di un’indagine condotta su un campione rappresentativo di imprese in termini di distribuzione territoriale e/o consistenza aziendale. La tipologia di imprese che ha risposto ha una media di 3,5 dipendenti, sono al 54% individuali (46% in forma societaria) e dichiara di avere una conoscenza più che discreta della norma; l’89% conosce la Variante 3 e il 73% è a conoscenza dell’Allegato A. In genere, gli intervistati sono venuti a conoscenza della 64-8 V3 principalmente dalle associazioni di categoria (33%), dalla stampa di settore (33%) ed in misura minore da professionisti (24%) e fornitori (10%). L’87% degli intervistati ha risposto di sapere che la V3 della norma 64-8 prevede tre livelli (il 13% non lo sa o fornisce risposte sbagliate) ed il 71% dichiara di applicare la 64-8 V3 nei propri lavori; il 20% lo fa “qualche volta” e il 9% non lo fa per nulla. In merito al rilascio della dichiarazione di conformità, il 74% sa che deve rilasciarla sempre, con l’eccezione dei lavori di manutenzione ordinaria, il 19% dichiara che va comunque sempre rilasciata e solo il 7% è convinto di doverla rilasciare solo per i nuovi impianti. La confusione indotta nella categoria degli installatori da interpretazioni poco ortodosse della norma è testimoniata dalle risposte alla domanda circa la possibilità di derogare o meno dal livello 1 della 64-8: solo il 44% risponde di no, mentre il 39% fornisce una risposta affermativa ed il 17% non lo sa o non risponde.
E per quanto riguarda gli impianti domotici?
Delle imprese intervistate il 53% ha già realizzato impianti di questo tipo. Al quesito circa le difficoltà incontrate nell’applicazione della norma (si potevano dare risposte multiple) le criticità si distribuiscono in maniera abbastanza uniforme nei rapporti con il committente (31%), e nel fatto che realizzando impianti secondo la norma costa troppo al cliente finale (31%) e che il costruttore, per evidenti ragioni di risparmio, non vuole tanti punti prese e luce (32%). Paradossalmente solo il 6% lamenta problemi di rapporto con i progettisti a testimonianza del fatto che, con ogni probabilità, la progettazione degli impianti è spesso inesistente. E questo è un problema molto pesante, e da risolvere al più presto, se si vuole alzare il livello di sicurezza dello stock complessivo degli impianti elettrici installati nel nostro paese.
Che cosa si può fare?
CNA Installazione Impianti ha attivamente collaborato con PROSIEL, l’associazione per la sicurezza elettrica di cui fanno parte tutte le associazioni di categoria del settore elettrico, nell’elaborazione del Libretto di impianto elettrico, un documento non obbligatorio per legge, ma che consente di assolvere agli obblighi, a carico del committente dei lavori o del proprietario dell’unità immobiliare, previsti dall’art. 8 del DM 37/08 in materia di sicurezza ed efficienza dell’impianto. Non sostituisce certo la Dichiarazione di Conformità e/o Rispondenza richiesta dal DM 37/2008; ma è una sorta di “libretto di circolazione” dell’impianto e “viaggia” con l’abitazione/immobile e non con il proprietario/inquilino.
Quali informazioni si trovano riportate sul Libretto?
Innanzitutto la frequenza prevista dall’impresa installatrice per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria affinché l’impianto mantenga le caratteristiche di sicurezza e prestazione di progetto. È predisposto inoltre per raccogliere la descrizione costruttiva e le dotazioni dell’impianto, le istruzioni d’uso e manutenzione delle apparecchiature, le relative garanzie, e ogni informazione fornita dall’impresa installatrice per la sua migliore gestione affinché l’utente abbia la possibilità di adempiere ai suoi obblighi.
Resta sempre il nodo dei costi: quanto può costare l’installazione ex novo di un impianto elettrico a regola d’arte?
Se consideriamo un’abitazione media (70 mq), per il livello 1 si va dai 4.000 ai 6.000 euro, per il livello 2 ci attestiamo sui 10-11.000 euro, mentre per quanto riguarda il livello 3 (domotica) il prezzo può essere definito solo dopo aver analizzato il livello prestazionale richiesto dal committente. Se invece parliamo di ristrutturazione dell’impianto andiamo dai 3.000 euro per un impianto di livello 1 ai 5.000 per un impianto di livello 2. Per il livello 3, valgono le stesse considerazioni.
E per gli impianti condominiali?
Il costo della messa a terra si aggira sui 300-500 euro a utenza, a cui vanno aggiunti i costi, che possono essere variabili, delle opere edili necessarie; il rinnovo delle colonne montanti vetuste può invece variare dai 500 ai 600 euro a utenza. Anche in questo caso si devono aggiungere i costi di eventuali opere edili.
Sul fronte dei finanziamenti e degli incentivi, dopo la delibera di ARERA dello scorso novembre, possiamo parlare di un quadro è positivo?
Sicuramente è da valutare in modo positivo l’interesse del regolatore circa la necessità che i distributori di energia procedano alla manutenzione e all’ammodernamento della rete (di cui le colonne montanti dei condomini sono parte integrante) per renderla più efficiente e rispondente ai cambiamenti delle abitudini di consumo degli utenti ed alle loro sopravvenute necessità. Al contempo, serve che tali lavori si svolgano in un regime di mercato favorevole alla concorrenza tra i diversi soggetti interessati, siano essi i distributori o le imprese private. In questo senso consideriamo congrui gli importi dei rimborsi previsti da ARERA per il rinnovo dei vecchi impianti elettrici. È importante anche l’opportunità per il condominio di sfruttare l’occasione dei lavori di rifacimento delle colonne vetuste per realizzare la centralizzazione dei misuratori.Tale ipotesi contribuirebbe a facilitare l’accesso del distributore per le operazioni controllo e manutenzione oltre che a semplificare l’attività delle imprese di installazione per la messa a norma delle colonne montanti di competenza dell’utente. Inoltre, essendo la bonifica delle colonne montanti l’occasione migliore per la contestuale realizzazione dell’infrastruttura per la banda larga sui tratti verticali, sarebbe opportuno sollecitare i soggetti istituzionali interessati – inclusa l’AGCOM – a completare i passaggi normativi e regolatori attualmente mancanti e necessari alla realizzazione degli interventi da parte dei condomini.