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Impianti FER, il Governo impugna norme della Basilicata

Varie disposizioni in materia di impianti eolici e fonti energetiche rinnovabili contrastano con i principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia

lunedì 21 gennaio 2019 - Redazione Build News

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Secondo il Consiglio dei ministri, la legge della Regione Basilicata n. 38 del 22 novembre 2018, recante "Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata", contempla molteplici disposizioni che sono costituzionalmente illegittime, per i profili che di seguito si illustrano e va pertanto impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

ART. 30. L’art. 30, comma 1, della legge regionale in oggetto disciplina l’estensione delle aree nelle quali più iniziative possono integrare casi di cumulo degli impianti FER e ciò ai fini della verifica di assoggettabilità alla VIA. In particolare, si prevede che, al fine di evitare l'elusione della normativa ambientale e impedire la frammentazione artificiosa di un progetto, e/o di considerare un singolo progetto anche in riferimento ad altri progetti appartenenti alla stessa categoria localizzati nel medesimo contesto territoriale, che per l'effetto cumulo determinano il superamento della soglia dimensionale fissata dall'allegato IV - Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 , l'ambito territoriale da considerare, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, per la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA) è definito da una fascia:

- Individuata dal raggio di 1 km misurato a partire dal centro per le opere puntuali, elevato a 2,00 km nelle aree non idonee individuate dalla presente legge;

- di 1 km misurato a partire dal perimetro esterno dell'area occupata per le opere areali, elevato a 2 km nelle aree non idonee ai sensi della presente legge;

- di 500 metri dall'asse del tracciato per le opere lineari.

Il comma 2 dello stesso art. 30 stabilisce poi che la contestuale presenza di almeno due delle suddette condizioni comporta la riduzione al 50% delle soglie relative alla specifica categoria progettuale riportata nell'allegato IV Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Al riguardo, va osservato che l’art. 30 in commento, violando le disposizioni statali in materia, si risolve in un ingiustificato aggravio procedimentale stabilendo i casi in cui le iniziative siano da considerare tout court come cumulate sotto un profilo della verifica di assoggettabilità a VIA. In particolare è richiamato l’art. 4 del d.lgs. 28 del 2011 il quale al comma 3 prevede che “Al fine di evitare l'elusione della normativa di tutela dell'ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità, omissis, le Regioni e le Province autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell'ambito della valutazione di impatto ambientale”. Si vede come la legge regionale in esame abbia applicato alla verifica di assoggettabilità alla VIA ciò che era previsto per la sola VIA e del tutto coerentemente con il sistema e le soglie di potenza per l’assoggettamento alla medesima VIA. L’aggravio procedimentale del tutto ingiustificato è poi acuito dalla previsione di cui al comma 2 dell’art. 30 dove le soglie sono dimezzate in caso di ricorrenza di due delle condizioni previste al comma 1. Si ritiene dunque che la disposizione regionale vada a frustrare l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale sia sotto il profilo della tutela ambientale (art. 117, comma 2, lett. s) Cost.) sia sotto il profilo dell’autorizzazione degli impianti alimentati a fonte rinnovabile, violando l’art. 117, comma 3, Cost. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.

ART. 32, “SOSTITUZIONE DELL'ART. 6 DELLA LEGGE REGIONALE 26 APRILE 2012, N. 8”, COMMA 1, LETTERE A.3), B.3) E B.4) E COMMA 2. L'articolo 32 della legge regionale in parola abroga e sostituisce interamente l'articolo 6 della legge regionale n. 8 del 26 aprile 2012, recante "Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili".

In materia, il legislatore statale, attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale, in quanto appunto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

La neointrodotta previsione, sotto la rubrica "Limiti all'utilizzo della PAS per gli impianti eolici e fotovoltaici", stabilisce in 200 kW la soglia di potenza massima entro la quale poter utilizzare la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), rispetto alla soglia di 1 MW stabilita in precedenza; ciò nel rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante "Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili” che assegna alle Regioni la possibilità di elevare, e di ridurre, la soglia di applicabilità della PAS fino a 1 MW.

Lo stesso articolo 6, al comma 1, lettere a.3) e b.3) nell'elencare, altresì, le condizioni da rispettare per poter accedere alla PAS, introduce la condizione della "distanza dagli altri impianti eolici (e fotovoltaici) o impianti FER presenti ovvero autorizzati, non inferiore a 1 km misurato tra i punti più vicini del perimetro dell'area occupata dall'impianto".

L'indicazione di una distanza minima tra un impianto FER - fonti di energia rinnovabili - e un altro, non prevista in alcuna norma di rango statale, contrasta con l'articolo 117, comma 3, della Costituzione, in relazione alla materia oggetto di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con riferimento al parametro interposto statale costituito dall'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), e con il paragrafo 1.2 e 17.1 delle discendenti Linee guida nazionali approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), recanti specifici indirizzi in merito alla individuazione delle aree non idonee.

Il paragrafo 1.2 citato recita, infatti, che “Le sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti dì tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili ed esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17.” Il paragrafo 17.1. prosegue stabilendo che “Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3. L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate.”

Lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un obiettivo rilevante della politica energetica dell'Unione europea. Per il perseguimento di tale finalità sono state emanate, fra le altre, la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, nel mercato interno dell'elettricità, e la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (Testo rilevante ai fini del SEE).

In particolare, i regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile sono regolati dalle Linee guida di cui all'anzidetto decreto ministeriale 10 settembre 2010, adottate in attuazione del comma 10 dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, e richiamate nel decreto legislativo n. 28 del 2011.

Si tratta di atti di formazione secondaria che costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria. Essi rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale (cfr. sentenza n. 99 del 2012 Corte Cost.).

Al riguardo, occorre evidenziare che analoga questione ha già costituito esame da parte della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 13 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Campania 1 luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti eolici), per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto “il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale…..non permette in alcun modo che le Regioni prescrivano limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea.”

In particolare, tale legge regionale prescriveva le distanze da rispettare per la costruzione di nuovi aerogeneratori, imponendo un vincolo da applicarsi in via generale sul territorio regionale, in violazione dei princìpi fondamentali contenuti nell'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e nelle discendenti Linee guida ministeriali.

Alla luce di siffatta previsione normativa la Corte ha ritenuto che, in base a tali disposizioni, alle Regioni sia consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti.

In precedenza, già con la sentenza n. 308 del 2011, si era affermata l'illegittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Da ultimo poi, con sentenza n. 69 del 2018, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 111, commi 2 e 5, della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 nella parte in cui fissa le distanze minime per la collocazione degli impianti a fonte rinnovabile rispetto alle residenze civili sparse e concentrate.

Per la Corte infatti, "alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti. Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette invece che le Regioni prescrivano limiti generali, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea".

La soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire, in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto dei principi fondamentali di tutela della salute e di legalità, di cui all'articolo 117, terzo comma e 97 Costituzione, e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.

I principi stabiliti dalla sentenza citata sono stati più volte espressi dalla Corte anche in pronunce precedenti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale che si colloca all'interno del quadro normativo statale ed eurounitario che regola la materia.

Sul punto si evidenzia che il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile può trovare eccezione in presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell'assetto urbanistico del territorio (sentenze n. 13 del 2014 e 224 del 2012 Corte Cost.). Tuttavia la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo, come previsto al paragrafo 17.1 dalle Linee guida, secondo cui, come già enunciato, «[...] l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione [...]».

È dunque nella sede procedimentale che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, nel confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico che (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela.

La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibile l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza.

Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'articolo 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso articolo 97 Cost. In definitiva viene in tal modo assicurato il rispetto del principio di legalità - anch'esso desumibile dall'art. 97 Cost. - in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione.

Pertanto la soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi principi fondamentali e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.

Anche la disposizione di cui al punto b.4) del comma 1 del medesimo art. 32, che introduce l’ulteriore condizione della “disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del generatore fotovoltaico, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile” contrasta con l’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 che per l’autorizzazione unica (cioè per un regime abilitativo più complesso) prevede al comma 4 bis “la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto”. Ricorre dunque la violazione di un principio fondamentale della materia, ineludibile dalle Regione con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell’area, per la quale si concretizza non solo la violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., per contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e del paragrafo 1.2. delle Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (DM 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalità di individuazione delle aree non idonee, ma anche dell’art. 41 Cost sulla libertà di iniziativa economica privata e dell’art. 117, comma primo, Cost. (cfr art 1 del d. lgs. 79/1999 che sancisce, in attuazione della direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi compresa dell’attività di produzione di energia elettrica).

Il comma 2 del medesimo art. 32 stabilisce le condizioni in presenza delle quali più impianti, che singolarmente presi hanno potenza inferiore a 200 kW, sottostanno ad autorizzazione unica quando siano “riconducibili ad un solo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, ovvero siano riconducibili allo stesso centro decisionale ai sensi dell'articolo 2359 del Codice Civile o per qualsiasi altra relazione sulla base di univoci elementi che fanno presupporre la costituzione di un'unica centrale eolica ovvero fotovoltaica”. Sebbene l’intento della disposizione possa (forse) rinvenirsi nell’esigenza di evitare l’elusione della soglia di potenza dei 200 kW per l’applicazione della procedura semplificata (PAS), la stessa introduce un vincolo per l’applicazione della PAS sulla base di un criterio soggettivo assai generico – “relazione, anche di fatto” - e quindi di difficile riscontro.

La disposizione, oltre a riproporre i profili di incostituzionalità sopra illustrati per il tema delle distanze tra impianti, pone un ingiustificato vincolo per gli operatori, contrario all’art. 117, comma terzo, Cost. non trovando dette limitazioni alcun riscontro nei principi fondamentali della materia di cui ai decreti legislativi 387 del 2003 e 28 del 2011.

Per i motivi esposti, si ritiene di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale l'articolo 32, comma 1, lettere a.3), b.3) e b.4) e comma 2 della legge 38 del 2018, per violazione degli articoli 41, limitatamente al punto b.4), 97 e 117, primo comma, per non rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e terzo comma, Cost., in riferimento ai parametri statali di cui all'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e delle richiamate Linee guida (paragrafi 1.2. e 17.1), in relazione alla materia oggetto di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», i cui princìpi fondamentali, in ordine ai regimi autorizzativi, sono stabiliti dallo Stato.

ART. 37. L’art. 37 pone addirittura una moratoria per le PAS che interessino impianti in aree potenzialmente impegnate da un progetto presentato per acquisire l’autorizzazione unica da parte della Regione, con sospensione del loro perfezionamento fino alla conclusione del procedimento di autorizzazione unica, che dura 90 gg al netto della procedura di VIA che può durare anche oltre 2 anni. La norma regionale lede i principi fondamentali che disciplinano il regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, tra i quali va ascritto anche il termine di conclusione dei relativi procedimenti (artt. 12, comma 4, d. lgs. 387/2003).

Rilievi di illegittimità costituzionale si pongono con riguardo al possibile contrasto con la disciplina sia nazionale che europea in materia di fonti rinnovabili. In particolare con:

- la direttiva n. 28/2009/CE (sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE);

- il decreto legislativo n. 28/2011 (in attuazione della direttiva 2009/28/CE e ad a modifica dell’articolo 12, comma 4 del d.lgs. 387/2003).

Sul punto, l’orientamento della Corte Costituzionale è costante nel ritenere che le moratorie per l’abilitazione degli impianti a fonte rinnovabile integrino una violazione dell’articolo 117, primo comma, Cost. sotto il profilo del favor che le direttive europee e gli Accordi internali riconoscono alla massima diffusione delle fonti rinnovabili. E’ configurabile altresì la violazione dell’articolo 117, comma 3, Cost. che attribuisce alla legislazione concorrente la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”. Al riguardo, l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 enuncia i principi fondamentali in materia cui le Regioni devono attenersi. La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto all’articolo 12, comma 4 del d.lgs. n. 387/2003 natura di principio fondamentale nella suddetta materia, in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo (cfr. sentenze Corte Cost. n. 364/2006, n. 282/2009 e n. 168/2010). Stesso ragionamento può essere esteso in via analogica ai termini per la conclusione della PAS, la cui uniformità deve essere garantita sul territorio nazionale.

Gli artt. 38, 39 e 40 recano molte prescrizioni sulle distanze e pertanto ripropongono i profili di incostituzionalità sopra evidenziati con riferimento all’articolo 32.

ART. 42. «Le disposizioni di cui agli articoli 29, 30, 31, 34 e 36 si applicano anche ai procedimenti pendenti» Al riguardo, la sentenza n. 64 del 2013 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma della Regione Veneto che disponeva la sua applicazione "ai procedimenti in corso".

ARTICOLI 43 E 52. Si premette che la legge regionale in esame introduce modifiche all'atto normativo n. 54 del 2015, con lo scopo, tuttavia non pienamente raggiunto, di assicurare il sostanziale recepimento di quanto osservato in occasione di precedenti interventi normativi (legge regionale n. 19 del 24 luglio 2017 impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale dal Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2017; legge regionale n. 21 del 2017 per la quale è stata proposta impugnativa costituzionale con delibera del Consiglio dei Ministri del 27 ottobre 2017).

A partire dall'art. 29, quasi tutti gli articoli, ad eccezione del 43 e 52 integrano e modificano la normativa vigente in materia di procedimenti autorizzativi di impianti da F.E.R. con particolare riguardo alle problematiche di inserimento dei medesimi nel paesaggio e sul territorio, estendendo le linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti rinnovabili, già approvate con la Legge regionale n. 54 del 2015, anche agli impianti con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del Decreto legislativo n. 387 del 2003 e non superiori a 1 MW.

Tale obiettivo risulta messo in discussione da quanto introdotto unilateralmente dalla Regione Basilicata, in particolare dagli artt. 43 e 52 della legge in esame, che contrastano con le norme di tutela dei beni culturali e del paesaggio, per i motivi che seguono.

In particolare:

in merito all'art. 43 "Integrazioni all'Allegato A della legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 e ss.mm.ii ", comma 1, si rileva come l'attuazione di tale previsione ridurrebbe drasticamente l'applicazione dei "Buffer" di cui al punto "1.2 Beni monumentali, 1.4 Beni paesaggistici (laghi ed invasi artificiali, fiumi, torrenti e corsi d'acqua, centri urbani, centri storici), 2.4 Rete Natura 2000, così come individuati e definiti nell'Allegato A della legge regionale n. 54 del 2015 e ss.mm.ii, "esclusivamente nelle aree territoriali visibili dal bene monumentale vincolato se l'impianto FER in progetto non risulta in correlazione visiva con lo stesso bene vincolato da punti di vista privilegiati".

Tale previsione limiterebbe l'applicazione di tutte le aree "Buffer", a prescindere dalla natura delle medesime, a due circostanze:

1) che nell'intorno dell'area di "buffer" medesima sia presente un bene monumentale;

2) che l'impianto FER sia in "correlazione visiva con lo stesso bene vincolato da punti di vista privilegiati".

Al di là delle difficoltà, facilmente immaginabili, che potrebbero nascere in sede di elaborazione delle linee guida, previste dal comma 2 del medesimo articolo, finalizzate ad una corretta applicazione del principio sancito dal comma 1 per la definizione dei "punti di vista privilegiati ", sia la prima che la seconda circostanza sono da considerarsi assolutamente in contrasto con i principi ispiratori posti alla base della individuazione delle "aree non idonee" stabiliti dall'Allegato 3 (paragrafo 17) "Criteri per l'individuazione di aree non idonee" del citato D.M. 10 settembre 2010 " Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili".

L'applicazione del parametro della "correlazione visiva" con un bene vincolato, sarebbe, infatti, assolutamente strumentale alla significativa riduzione della natura e specificità delle diverse categorie di aree ritenute particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio, elencate nell'Allegato 3 del su citato Decreto del 2010. In questo contesto, le modifiche introdotte alla legge regionale n. 54 del 2015 con la legge in esame, sebbene da un lato sembrerebbero estendere l'applicazione dei criteri e delle modalità per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio alle tipologie di impianti F.E.R. di qualunque potenza (art. 29), dall'altra, ed in maniera assolutamente incoerente, introducono, con l'art. 43, una norma la cui applicazione annullerebbe di fatto l'istruttoria condotta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, di concerto con la Regione Basilicata, che ha portato alla definizione delle aree di buffer di cui agli allegati A e C e agli elaborati di cui all'allegato B della Legge Regionale n. 54 del 2015, inficiandone, pertanto, la validità.

In merito all'art. 52 "Definizione di area attinente ad un parco eolico", si deve anche in questo caso, evidenziare come tale norma, intervenendo su una materia già ampiamente regolamentata dalla legislazione statale con il Decreto legislativo n. 152 del 2006, oltre ad introdurre una nuova definizione (area attinente ad un parco eolico), stabilirebbe un nuovo criterio per la definizione della sostanzialità delle varianti ai parchi eolici, che, sostituendosi ai criteri elencati nell'Allegato V alla Parte II del medesimo Decreto legislativo, crea conflitti ed incertezze applicative soprattutto nei procedimenti di verifica di assoggettabilità a V.I.A. statale di cui all'art. 19 del decreto citato che, si ricorda, a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto legislativo n. 104 del 2017, riguarda anche gli impianti eolici di potenza superiore ai 30 MW.

Gli articoli 43 e 52, oltre a rappresentare una contraddittorietà interna alla medesima legge ed un mancato rispetto degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, stipulato ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del decreto legislativo n. 42 del 2004, tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e la Regione Basilicata, in data 14 settembre 2011, confliggono con le norme a tutela dell’ambiente, di cui al D.lgs. n. 152 del 2006 e del patrimonio culturale, di cui al D.lgs. n. 42 del 2004, e con l'articolo 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, nelle materia della tutela dell'ambiente e dei beni culturali.

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