Sentenze

Impianti FER, le motivazioni del diniego di autorizzazione paesaggistica “devono essere stringenti”

Secondo il Consiglio di Stato “il giudizio di compatibilità paesaggistica non può limitarsi a rilevare l’oggettività del novum sul paesaggio preesistente”

lunedì 9 maggio 2016 - Redazione Build News

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Ai sensi del d. lgs 29 dicembre 2003 n. 387 (recante Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) le opere funzionali agli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono espressamente qualificate dalla legge come opere di pubblica utilità, in quanto la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema. Anche in vista del più proficuo raggiungimento di tale finalità, l’art. 12 del citato d.lgs. ha introdotto un procedimento unico semplificato per il rilascio delle autorizzazioni necessarie alla implementazione delle infrastrutture strumentali alla produzione dell’energia pulita da fonti rinnovabili.

Questa premessa, osserva il Consiglio di Stato nella sentenza n. 1201/2016 depositata il 23 marzo, “induce a ritenere che le motivazioni dell’eventuale diniego (seppur parziale) di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica”.

Ogni nuova opera “ha una qualche incidenza sul paesaggio (che è costituito, secondo una delle definizioni più appropriate, dalla interazione tra le opere dell’uomo e la natura), di tal che il giudizio di compatibilità paesaggistica non può limitarsi a rilevare l’oggettività del novum sul paesaggio preesistente, posto che in tal modo ogni nuova opera, in quanto corpo estraneo rispetto al preesistente quadro paesaggistico, sarebbe di per sé non autorizzabile”.

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