Con la sentenza n. 2859/2018 pubblicata ieri, la quarta sezione del Consiglio di Stato fa chiarezza in merito ai poteri attribuiti al Gestore dei servizi energetici (GSE) dall’art. 42 del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28.
La norma in questione (art. 42 cit.) contiene la disciplina relativa ai poteri di controllo e di sanzione del GSE. Il comma 1 definisce l’oggetto della verifica dei dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza, che deve avvenire sulla documentazione trasmessa, nonché con controlli a campione sugli impianti. La natura del controllo sulla documentazione si spiega alla luce di quanto dispongono i successivi commi 2 e 4 dello stesso art. 42.
Il primo, infatti, fa salve le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni statali, regionali, agli enti locali nonché ai gestori di rete.
Il secondo, invece, stabilisce che, nel caso in cui le violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, le amministrazioni e gli enti pubblici, deputati ai controlli relativi al rispetto delle autorizzazioni rilasciate per la costruzione e l'esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, fermo restando il potere sanzionatorio loro spettante, trasmettono tempestivamente al GSE l'esito degli accertamenti effettuati.
Il Consiglio di Stato osserva che “da ciò si ricava, quanto alla fattispecie de qua, che in relazione agli atti prodromici che devono essere adottati da altre Amministrazioni ovvero dagli enti locali o, in generale in relazione a procedimenti che devono essere gestiti dai detti enti, il controllo operato dal GSE ha carattere meramente formale, ossia di verifica della sussistenza del titolo, non potendosi spingere sino alla verifica della legittimità dello stesso a pena di stravolgimento del riparto di competenze fissato dal legislatore.
Una opposta conclusione porterebbe a ritenere che il GSE operi quale Amministrazione sovraordinata rispetto a quelle che concorrono a rilasciare i titoli necessari per l’ammissione alle tariffe incentivanti.
Tale esegesi, non sostenuta da una disposizione espressa di legge (che avrebbe chiaramente indole eccezionale), risulterebbe oltretutto in contrasto con i valori e i principi presidiati dagli artt. 5 e 118 Cost. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza del giudice delle leggi e di questo Consiglio (cfr. ex plurimis e da ultimo Corte cost., 20 maggio 2016, n. 110; Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 4 dicembre 2017, n. 5711)”.
Pertanto, il Gestore dei servizi energetici “si deve limitare a verificare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, commi 1 e 2, cit. e 4, co. 2, lett. c), d.m. cit., l’esistenza del titolo autorizzativo, non potendo, invece, sindacare la legittimità e conseguentemente l’efficacia dello stesso.
Non può, in definitiva, dubitarsi che il cd. principio di equiparazione in termini di efficacia degli atti amministrativi illegittimi a quelli legittimi, operi anche nei rapporti fra Amministrazioni, a meno che il legislatore in via eccezionale non consenta ad un soggetto pubblico di sindacare e ritenere tamquam non esset in caso ne valuti l’illegittimità, l’atto adottato da altra amministrazione.
Pertanto, qualora il GSE dubiti della legittimità di un atto rilasciato da altra amministrazione deve interloquire con quest’ultima, invitandola ad esercitare i propri poteri di controllo e a trasmettere tempestivamente l’esito degli accertamenti effettuati”.