Sentenze

Impugnazione provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara: il Tar rimette alla Corte Ue

Alla Corte di giustizia dell’Unione Europea due quesiti in merito all’art. 120, comma 2 bis del c.p.a.

lunedì 29 gennaio 2018 - Redazione Build News

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Con l'ordinanza n.88/2018, la prima sezione del Tar Piemonte ha sottoposto all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea i due seguenti quesiti:

1) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti;

2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato.

Ha ricordato il Tar che il rito di cui all’art 120, comma 2 bis, c.p.a. implica una tutela di tipo oggettiva, in cui l’azione non si configura caratterizzata da un interesse attuale del ricorrente e da una lesione concreta della sua situazione giuridica soggettiva.

L’operatore economico è obbligato ad impugnare le ammissioni di tutti i concorrenti alla gara, senza sapere ancora chi sarà l’aggiudicatario e, parimenti, senza sapere se lui stesso si collocherà in graduatoria in posizione utile per ottenere e/o contestare l’aggiudicazione dell’appalto. Si impone quindi al concorrente di promuovere l’azione giurisdizionale senza alcuna garanzia che detta iniziativa possa garantirgli una concreta utilità, facendo carico anche all’operatore che abbia presentato un’offerta risultata poi non competitiva in esito alla selezione, di assumere gli oneri connessi all’esperimento immediato del giudizio, ossia di promuovere un ricorso inutile e non efficace.

Le norme censurate hanno pertanto introdotto una tipologia di contenzioso che si qualifica per essere un giudizio di diritto oggettivo, contrario ai principi comunitari sopra richiamati, che forgiano il diritto di azione come diritto del solo soggetto titolare di un interesse attuale e concreto, interesse che, nell’ipotesi delle gare di appalto, consiste unicamente nel conseguimento dell’aggiudicazione, o, al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara. Si rende in tal modo recessivo il principio della immediatezza della lesione derivante dal provvedimento impugnato rispetto alla (necessaria) attualità della reazione giurisdizionale, anticipandola obbligatoriamente ad un momento procedimentale nel quale la selezione degli interessi dei singoli partecipanti non è ancora tale da poter far riconoscere in capo a ciascun concorrente un effettivo e concreto interesse (ed utilità) all’impugnativa.

Peraltro, il soggetto privato obbligato a proporre un giudizio secondo lo schema del rito “superaccelerato” non solo non ha un interesse concreto ed attuale ad una pronuncia dell’autorità giudiziaria, ma subisce anche un danno dall’applicazione dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., non solo con riferimento agli esborsi economici ingentissimi collegati alla proposizione di plurimi ricorsi avverso l’ammissione di tutti i concorrenti alla gara (in un numero potenzialmente molto elevato), ma anche per la potenziale compromissione della propria posizione agli occhi della Commissione di gara della Stazione appaltante, destinataria dei plurimi ricorsi, che è chiamata nelle more del giudizio a valutare l’offerta tecnica del ricorrente; e per le nefaste conseguenze in merito al rating d’impresa disciplinato dall’art. 83 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), che individua come parametro di giudizio (negativo) l’incidenza dei contenziosi attivati dall’operatore economico nelle gare d’appalto.

In tale quadro, che si prospetta potenzialmente idoneo a dissuadere i concorrenti da iniziative processuali anticipate rispetto al verificarsi della lesione concreta, sembrano trovare fondamento le critiche sollevate da parte della dottrina che ha attribuito alla novella legislativa l’intendimento di ridurre le facoltà di difesa e, al contempo, le occasioni di sindacato del giudice amministrativo sull’esito delle gare pubbliche.

La violazione ai principi comunitari sopra richiamati, ed in particolare laddove si rende l’accesso alla giustizia amministrativa eccessivamente gravoso, si ravvisa in quanto l’attuale sistema impone a ogni ditta concorrente di:

1) impugnare il provvedimento di ammissione di tutte le altre ditte partecipanti;

2) proporre il relativo ricorso in una fase del procedimento in cui la cognizione dei documenti di gara degli altri concorrenti è resa problematica dalla disciplina dettata nell’art. 53, d.lgs. n. 50 del 2016, che al comma terzo vieta di comunicare o comunque di rendere noti gli atti di gara, l’accesso ai quali è differito all’aggiudicazione e, al suo comma quarto, rende punibile, ai sensi dell’art. 326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio), la condotta del pubblico ufficiale o degli incaricati di pubblico servizio (endiadi in cui sono compresi tutti i funzionari addetti alla procedura di gara) inosservante del divieto. La cogenza di tale incondizionato divieto, oltre a porre questioni di coordinamento con l’art. 29 cit., lascia prevedere una giustificata ritrosia dei soggetti responsabili della procedura a rendere ostensibile, oltre al provvedimento di ammissione, la documentazione amministrativa dei concorrenti, costringendo gli operatori a proporre ricorsi “al buio” ovvero, come confermato dalle già numerose pronunce intervenute sul punto, a presentare ulteriori ricorsi per l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione necessaria per la proposizione del ricorso ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a.;

3) formulare censure avverso ogni atto di ammissione, per evitare di incorrere nell’inammissibilità di un ricorso cumulativo (ogni ammissione potrebbe risultare affetta da vizi propri e distinti rispetto all’altra, con diversità oggettiva e soggettiva per ogni ricorso), con la necessaria proposizione di tanti ricorsi quante sono le ditte ammesse e quindi con la conseguenza di dover versare il contributo unificato per ogni ricorso (può dirsi acclarata la funzione dissuasiva all’azione giurisdizionale indotta dal cumulo di tributi giudiziari dovuti in caso di impugnazione separata degli atti di ammissione e di aggiudicazione nell’ambito della stessa procedura di gara).

Risulta, ad avviso del Tar Piemonte, netto il contrasto con il principio di effettività sostanziale della tutela assicurato dalla direttiva recepita (89/665), laddove prevede una decadenza di motivi ricorsuali deducibili nel momento in cui l’esigenza di tutela soggettiva diviene concreta ed attuale, cioè con l’aggiudicazione.

Sotto ulteriore profilo, la normativa interna in esame comporta, sempre ad avviso del Tar, anche la violazione del principio di proporzionalità, che, com’è noto, costituisce parte integrante dei principi generali del diritto comunitario ed esige che la normativa nazionale non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere.

Consulta l'ordinanza n.88/2018 del Tar Piemonte

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