A larga maggioranza (501 contrari, 120 favorevoli, 10 astenuti), il Parlamento europeo – in seduta plenaria – ha respinto la mozione per modificare la definizione di PMI contenuta nella Raccomandazione 2003/361/CE.
Da anni si registrano richieste da parte di diversi deputati di riaprire la discussione sul contenuto della definizione di micro, piccola e media impresa, che si basa sui seguenti indicatori: un numero di dipendenti fino a 250 occupati, nonché un fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro (in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro).
Il dibattito si è concentrato anche questa volta sulla categoria delle mid-cap, imprese quotate a media capitalizzazione, che secondo alcuni membri del Parlamento Europeo, in particolare i tedeschi, andrebbero incluse nella definizione di PMI.
Il testo respinto
Il testo respinto oggi dagli eurodeputati, facendo leva sulla necessità di adeguare al tasso di inflazione alcuni criteri previsti dalla Direttiva 2013/34/UE sui bilanci d’esercizio, aveva proprio l’obiettivo di realizzare l’inclusione delle mid-cap nella definizione di PMI della Raccomandazione 2003/361/CE.
In particolare, si prevedeva l’innalzamento del numero dei dipendenti – da 250 a 500. Inoltre, si chiedeva che tale aggiustamento non riguardasse solamente alcuni aspetti della legislazione (legata agli obblighi di bilanci e alla rendicontazione non finanziaria) ma dovesse assumere carattere generale.
Confartigianato Imprese ha immediatamente sottolineato a gran voce come ciò avrebbe creato un enorme danno competitivo per le (vere) micro e PMI. Il rischio reale era di includere imprese con risorse economiche e organizzative ben diverse da quelle per le quali la legislazione europea riserva regole specifiche. Tale inclusione avrebbe anche distolto risorse oggi dedicate alle PMI a favore di imprese di dimensione e capacità più grandi, soprattutto rispetto a imprese di micro-dimensione (più del 92%).
“Il voto di oggi – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – testimonia la condivisione della nostra posizione, da non confondere con un’ostinata difesa di un privilegio, di chiusura al mercato. Si tratta piuttosto della necessità di valorizzare un patrimonio – soprattutto italiano – che è l’impresa diffusa nel territorio, la quale contribuisce all’eccellenza del Made in Italy e che ha bisogno di una disciplina “proporzionalmente alleggerita” per le PMI”.