Presentato oggi a Roma in occasione del convegno “Innovare per crescere. Le professioni tecnico ingegneristiche motore della ripresa” - organizzato dal Consiglio nazionale dei periti industriali - l’ultimo rapporto “Innovare per crescere. Le professioni tecnico ingegneristiche motore della ripresa” che il Centro studi Opificium del Consiglio nazionale dei periti industriali ha realizzato a partire dalle banche dati Unioncamere, Eurostat ed Istat. Dai dati in Italia - contrariamente ai trend europei - il numero dei tecnici è diminuito (-0,3%, rispetto al +6% in Europa) e il mancato rinnovamento del capitale professionale ha contribuito ad aumentare il divario tra il nostro Paese e l’Europa, sia in termini di innovazione che di crescita (meno brevetti, basso export e fatturato da innovazione). Per non parlare della diminuzione del Pil sceso in Italia del 3,2% tra il 2010 e il 2015, a fronte delle principali economie europee che lo hanno visto aumentare (Regno Unito +10,4%, Germania +8,2% e Francia +4,8%).
- 0,3% di lavoratori tecnici
Per quanto l’Italia vanti un livello di incidenza di professionalità tecniche sul complesso della forza occupazionale in media con il resto d’Europa (17,7%), questo risulta però inferiore a quello di Paesi come la Germania (22,6%) e la Francia (20,4%) che, al pari del nostro, presentano una spiccata vocazione manifatturiera.
Negli ultimi cinque anni, poi, mentre in Europa il numero dei lavoratori tecnici è andato crescendo (+6% tra 2011 e 2015), con punte in Germania, Irlanda e Svezia intorno al 15%, in Italia ha subito una flessione (-0,3%), passando da 3 milioni 939 mila a 3 milioni 925 unità.
E’ emblematico quanto rilevato da un recentissimo studio dell’Eurostat che conferma la bassa capacità di presidio del Paese in uno dei settori tecnici più innovativi dell’economia, le ict. Con il 2,5% di occupati, sul totale dei lavoratori, l’occupazione in questo settore riveste in Italia un ruolo del tutto residuale, se comparato al resto d’Europa (dove la percentuale si attesta al 3,5%) e a Paesi quali Francia (3,6%), Germania (3,7%), Paesi Bassi (5%), Regno Unito (5%).
Meno brevetti e pochi giovani
Alla riduzione della base occupazionale è corrisposto, inoltre, il rallentamento dei processi di ricambio generazionale, con il risultato che oggi, su 100 lavoratori occupati in posizioni tecniche intermedie, “solo” il 35,7% ha meno di 40 anni.
Un mancato rinnovamento di professionalità tecniche che ha influito anche in termini di innovazione: se guardiamo, infatti, ai principali indicatori disponibili a livello europeo, l’Italia presenta un gap rispetto alle altre economie che poco si addice alla settima economia del mondo. Con 70 applicazioni per brevetti ogni milione di abitanti nel 2014 (10 in meno rispetto al 2004) l’Italia presenta una media di molto inferiore a quella europea (112 brevetti ogni milione di abitanti) e di gran lunga inferiore a quella di Germania (256) e Francia (138), per citare i principali. Anche considerando il numero di applicazioni in valori assoluti la posizione italiana non migliora. Nel 2014 il Paese era al sesto posto per brevetti presentati nel settore delle ICT e del biotech, al settimo per l’high technology.
I profili più richiesti
Le stime del Cedefop (Agenzia di ricerca sull’istruzione e la formazione tecnica e professionale nell’Unione Europea) prevedono per l’Italia, tra 2015 e 2025, la creazione di nuove opportunità occupazionali (dipendenti e autonomi) per oltre 2 milioni di profili tecnici intermedi.
Ancora secondo l’indagine Excelsior Unioncamere su oltre 560 mila assunzioni previste per il 2016, quasi 80 mila (il 14%) riguarda infatti i profili di area tecnica, e tra questi, una quota rilevante (quasi 25 mila) è rappresentata dai tecnici dell’ingegneria.
Tra i profili più richiesti: analisti e progettisti di software ( 9320 assunzioni, il doppio rispetto a quattro anni fa), disegnatori industriali (3500 assunzioni previste, con un incremento del 42,3% rispetto al 2012), i tecnici programmatori (3180, con un incremento del 73,8%), tecnici esperti in applicazioni (2760), tecnici della produzione manifatturiera (2580).
Anche nelle public utilities una quota significativa di nuove assunzioni è destinata ai profili di area tecnico ingegneristica (il 14,6%), cosi come negli ambiti del manifatturiero più innovativo – fabbricazione macchine e mezzi di trasporto, industrie farmaceutiche e chimiche, industrie elettriche ed elettroniche – dove la quota di tecnici dell’ingegneria tra i neoassunti si colloca rispettivamente al 12,6%, 13,4% e 11,2%.
Il 38,8% delle assunzioni previste di tecnici dell’ingegneria è inoltre destinato all’area progettazione, ricerca e sviluppo, il 13,1% ai sistemi informativi e il 15,9% alla produzione di beni e servizi. Ancora, ben il 9% dei tecnici dovrà occuparsi di certificazioni, in materia di qualità, ambiente e sicurezza, mentre il 7,2% di controlli di qualità e il 5,2% di logistica e distribuzione.
La proposta dei periti industriali
Per evitare il rischio di bruciare tali nuove opportunità è quindi oggi più che mai necessario allineare il sistema dell’offerta formativa, tenendo conto di quelle che sono le esigenze che provengono dal mercato e al tempo stesso dell’esigenza di dotare i futuri tecnici di un bagaglio di conoscenze più finalizzato sotto il profilo tecnico applicativo, ma altrettanto solido dal punto di vista teorico.
“Dopo che con la legge 89/16 abbiamo elevato il livello di formazione per l’accesso all’albo” ha spiegato Giampiero Giovannetti, presidente del Cnpi, “è necessario ora proseguire l’azione di riforma del nostro albo per adeguarlo alle necessità dei servizi e della tecnica. Serve un professionista flessibile e adattabile a paradigmi di conoscenza che cambiano al ritmo dell’innovazione”.