La Corte d'appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso proposto da un lavoratore dipendente, come tale iscritto ad apposita forma di previdenza obbligatoria, esercente part-time la professione di ingegnere, al fine di ottenere l'accertamento del suo diritto all'iscrizione alla Cassa di previdenza degli ingegneri e architetti libero professionisti (Inarcassa) od in subordine la restituzione dei contributi integrativi versati alla Cassa.
Per la cassazione della sentenza l'ingegnere ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui Inarcassa ha resistito con controricorso.
Nel bocciare il ricorso dell'ingegnere, la Corte di cassazione, nella sentenza n. 3913/2019 depositata ieri, ha ricordato che “questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 33313 del 21/12/2018 ed altre pronunciate in esito alla stessa udienza del 21.12.2018, che richiamano i propri precedenti in materia, tra cui Cass. 18/12/2017, n. 30345, ha ribadito che l'iscrizione all'Inarcassa è preclusa agli ingegneri e agli architetti che siano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata. L'esclusione deriva dall'art. 3 comma 2 della l. n. 179 del 1958, così come modificato dall'art. 3 della l. n. 1046 del 1971, ed è stata conservata con formula identica dall'art. 21 comma 5 della l. 3 gennaio 1981 n. 6 e, da ultimo, dall'art. 7, comma 5, dello Statuto Inarcassa, approvato giusta le disposizioni del decreto legislativo n. 509/1994”.
Tale normativa non si può ritenere abrogata con l'entrata in vigore della Legge n. 335 del 1995, “che al contrario con la creazione della nuova gestione separata ha inteso estendere la copertura assicurativa, nell'ambito della cd. "politica di universalizzazione delle tutele", non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano "coperti" dal punto di vista previdenziale solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione (v. Cass. S.U. n. 3240 del 12/02/2010). La regola generale conseguente all'istituzione della gestione separata è dunque che all'espletamento di una duplice attività lavorativa, quando per entrambe è prevista una tutela assicurativa, debba corrispondere una duplicità di iscrizione alle diverse gestioni”.
Non contrasta con tale soluzione “l'art. 2 comma 26 della citata l. n. 335 del 1995, poiché l'articolo 18 comma 12 della l. n. 98 del 2011 ne ha chiarito l'interpretazione nel senso – fatto proprio da questa Corte in tutti gli arresti sopra richiamati - che l'unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che può inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nell'art. 2, comma 26 , l. n. 335 del 1995 come chiarita dall'art. 18, comma 12, dl. n. 98 del 2011, è quella correlata ad un obbligo di iscrizione ad una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale. Per tale ragione la contribuzione integrativa, che non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell'invalidità e della morte in favore dei superstiti, non osta all'obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l'I.N.P.S.”.
La Corte Costituzionale, ricorda la Cassazione, “si è già espressa sulla normativa qui esaminata con la sentenza n. 108 del 16 marzo 1989, ed ha affermato che il principio di solidarietà di cui all'art. 38 Cost., che richiede che venga assicurata una tutela previdenziale adeguata per l'invalidità e la vecchiaia, non impedisce che vengano posti dei limiti al cumulo delle posizioni assicurative.
Ha aggiunto che "fino a quando il legislatore non provvederà al riordinamento, con criteri unitari, dei trattamenti di previdenza delle categorie dei liberi professionisti (secondo la direttiva enunciata nell'art. 1 della legge n. 127 del 1980) i vari sistemi previdenziali, nell'ambito delle libere professioni, conservano una propria autonoma individualità e sono, pertanto, inconfrontabili ai sensi dell'art. 3 Cost.”.”
Per l'attività libero professionale coloro che siano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie “non sono dunque tenuti al versamento del contributo soggettivo ad Inarcassa, bensì unicamente al versamento del contributo integrativo, dovuto da tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e architetto, nella forma di una maggiorazione percentuale che dev'essere applicata dal professionista su tutti i compensi rientranti nel volume di affari e versata alla Cassa indipendentemente dall'effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore, salva ripetizione nei confronti di quest'ultimo (art. 10, l. n. 6/1981, riprodotto negli stessi termini dall'art. 5 del Regolamento di previdenza Inarcassa). Né ciò comporta alcuna duplicazione di contribuzione a carico del professionista, giacché il contributo integrativo è in realtà posto a carico di terzi estranei alla categoria professionale cui appartiene il professionista e di cui Inarcassa è ente esponenziale (v. in tal senso Corte cost. n. 132 del 1984)”.
Infine, la Corte di cassazione rammenta che “la compatibilità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. di tale imposizione è stata già affermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 108 del 1989, che ha chiarito che l'obbligo del contributo, nella misura minima predetta, trae idonea giustificazione dalla sola circostanza dell'iscrizione all'albo, la quale è libera e fonte, di per sé, di utilità almeno potenziali . Esso costituisce inoltre espressione del principio solidaristico che permea il sistema previdenziale, considerato che la sua istituzione si giustifica in relazione alla necessità di Inarcassa di disporre di un'ulteriore fonte di entrate con cui sopperire alle prestazioni cui è tenuta”.
In allegato la sentenza della Cassazione