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Ingegneri, le competenze tecniche non bastano più: occorre una visione manageriale

Il Presidente del Centro Studi CNI: per affrontare le sfide del mercato occorre saper acquisire commesse e razionalizzare il lavoro contenendo i costi e mantenendo standard di qualità elevati

martedì 6 ottobre 2015 - Redazione Build News

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Un sondaggio, effettuato dal Centro Studi del Cni in occasione del 60° Congresso nazionale degli Ingegneri che si è tenuto a Venezia dal 30 settembre al 2 ottobre, conferma come la libera professione “pare essere attanagliata da una crisi irreversibile, tanto più grave in quanto diventa sempre meno ambita e praticata dalle nuove generazioni di ingegneri”, spiega il Presidente del Centro Studi CNI Luigi Ronsivalle (foto).

Le ragioni, osserva Ronsivalle, “sono legate ad una molteplicità di fattori concomitanti che vanno dalle radicali trasformazioni avvenute nel mercato dei servizi di ingegneria, spesso legate ad una abnorme e non sempre coerente produzione legislativa, alla crescente pressione competitiva, alla contrazione della domanda interna sia in ambito pubblico che privato, dovuta ad una crisi ormai decennale”.

CRISI DI EFFICIENZA OPERATIVA. Il presidente del Contro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri mette in chiaro che “la competenza tecnica non è più sufficiente per affrontare le sfide del mercato, occorre anche una visione manageriale del proprio lavoro. La capacità di svolgere in modo adeguato l’attività professionale non può più essere disgiunta da quella di acquisire commesse, di razionalizzare il lavoro anche in funzione del contenimento dei costi e del mantenimento di standard di qualità elevati. Il professionista in Italia deve anche fare i conti con una committenza non sempre matura e competente. Pertanto l’efficientamento della propria organizzazione professionale potrebbe non trovare adeguato apprezzamento nel mercato, se non nei grandi appalti o nelle commesse di elevato valore tecnico-economico. Il privato cittadino tende ancora a rivolgersi al piccolo professionista locale con il quale ritiene di poter intraprendere un rapporto più confidenziale e ottenere il minor prezzo,  spesso senza curarsi della qualità del servizio offerto. Si è dibattuti pertanto fra la necessità di ampliare la propria organizzazione per aumentarne la competitività e il raggio di azione e la tendenza a rimanere piccoli in quanto il processo di crescita professionale può comportare difficoltà non superabili in termini di risorse finanziarie necessarie e di rigidità di gestione”.

PUNTARE SUI CONTRATTI DI RETE. Il problema della razionalizzazione e miglioramento gestionale potrebbe trovare soluzione attraverso “contratti di rete analoghi a quelli esistenti e contemplati nella legislazione italiana per le PMI. Attraverso contratti di rete – evidenzia Ronsivalle - si potrebbero migliorare la propria competitività, aumentare l’efficienza operativa, diminuire i costi di gestione realizzando economie di scala, raggiungere un più vasto numero di possibili clienti sfruttando diverse competenze specialistiche, accedere a grandi commesse, senza necessariamente rinunciare alle piccole. La legislazione italiana disciplina i contratti di rete per le PMI, a partire dal D.L. 5/2009, fino al DL 179/2012, e contempla una serie di agevolazioni, dai quali i liberi professionisti sono esclusi”.

LE COLPE DEI GOVERNI. I liberi professionisti, però, si sentono – e a ragione - trascurati dal Governo. “Fra i vari fattori che contribuiscono alla crisi delle professioni – osserva il presidente del Centro studi Cni - dobbiamo annoverare qualcosa di più di una semplice distrazione del legislatore. Si potrebbe arrivare a definirla quasi un’avversione dello stesso nei confronti di quella che dovrebbe essere riconosciuta come una importantissima leva del sapere e della crescita economica del Paese. Possiamo solo sperare che prima o poi si registri un’inversione di tendenza e che qualcuno si accorga di cosa e quanto si stia sprecando”.

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