Da qualunque prospettiva lo si analizzi, il 2020 è stato caratterizzato da una brusca caduta del fabbisogno di lavoro, con una riduzione degli occupati del 2,8% ed un calo delle unità di lavoro del 7,1% e delle ore lavorate del 7,7%, facendo trasparire una riduzione allargata del contributo lavorativo. Una parte degli occupati, se pur ridotta a seguito del blocco dei licenziamenti, ha perso il lavoro, ma molti hanno lavorato e guadagnato meno.
Lo rileva l'Inps il cui Presidente Pasquale Tridico ha illustrato ieri la Relazione annuale sulle attività dell’Istituto nel 2020. La presentazione si è svolta presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati.
Il volume complessivo degli assicurati Inps, indicatore indiretto della totalità dei lavoratori regolari, non è diminuito nel 2020, attestandosi a 25.546 milioni, valore identico a quello del 2019. La pandemia non ha tanto ridotto il numero assoluto di assicurati quanto il numero medio di settimane di effettivo lavoro: dal valore di 42,9 settimane nel 2019 si è scesi a 40,1 nel 2020.
In corrispondenza al calo dell’input lavorativo si registra quello dei redditi da lavoro: l’imponibile previdenziale è diminuito di circa 33 miliardi, scendendo da 598 miliardi nel 2019 a 564 miliardi nel 2020 (−5,6%). In valore assoluto, la contrazione più rilevante è stata quella dei dipendenti privati (da 369 a 340 miliardi, pari al −7,9%), mentre per gli autonomi il calo è stato pari al −6,0%.
Se consideriamo le retribuzioni individuali, la retribuzione media annua dei dipendenti è scesa da 24.140 euro nel 2019 a 23.091 euro nel 2020 (−4,3%, corrispondente a una perdita di poco più di 1.000 euro), a seguito della riduzione media delle settimane lavorate. Questo accresce la polarizzazione all’interno del lavoro dipendente, se si tiene conto del fatto che le retribuzioni medie annue dei dipendenti occupati a tempo pieno e per tutto l’anno sono cresciute da 32.668 a 36.448 euro (+11,6%).
Cassa Integrazione Guadagni. L’anno 2020 ha visto un utilizzo eccezionale degli strumenti di sostegno al reddito. La Cassa Integrazione Guadagni ha aumentato di circa tredici volte le uscite con i provvedimenti in deroga passando, infatti, da 1,4 nel 2019 a 18,7 miliardi nel 2020, a seguito dell’aumento del numero dei beneficiari, passati da 620.000 a 6,7 milioni, con un valore medio pro capite della prestazione pari a 2.788 euro. Fenomeno diffuso nell’insieme dei lavoratori, considerando che i dipendenti in cassa a zero ore, inizialmente pari alla metà nel primo lock-down (45% in aprile 2020) sono calati come incidenza al 9% (novembre 2020) fino a raggiungere il 7% (febbraio 2021). Il 43% delle imprese nel 2020 non ha mai usufruito di Cig, mentre il 18% solo nella prima fase di rigido lockdown, il 17% anche successivamente ma esaurendone l’uso nell’anno, mentre il 22% ha continuato a ricorrervi.
L’erogazione degli ammortizzatori sociali è stata gestita nella quasi totalità dall’Inps che, già nel 2020, ha implementato innovazioni per semplificare le procedure di accesso e lavorazione. A breve verrà attivata la nuova piattaforma per l’accesso unico alla Cig che consente una domanda unificata di cassa per tutte le tipologie esistenti.
L’ampia adozione di Cig, in particolare in deroga, ha frenato il crollo dei redditi: dai dati dell’imponibile contributivo, Inps rileva che in assenza del sostegno derivante dagli ammortizzatori sociali l’imponibile contributivo mediano per i lavoratori coinvolti in Cig-Covid sarebbe diminuito del 60%; grazie alla Cig, la perdita si è ridotta al 33%. La Cig è però misura troppo frammentata legislativamente e non copre automaticamente un’ampia fetta del mondo lavorativo non dipendente, come ha messo in evidenza lo shock pandemico. Emerge dunque la reale ed urgente esigenza di una riforma, non solo in ottica di semplificazione ma anche in direzione di maggiore universalismo. Un primo passo viene fatto con l’introduzione dell’Iscro per i lavoratori autonomi.
Sempre in tema di impatto degli ammortizzatori sociali, in assenza di questi si rileva che la disuguaglianza sarebbe aumentata del 93%, mentre con essi è stata arginata, frenando tale aumento al 55%. Di contro, l’intervento pubblico avrebbe potuto essere più selettivo nell’individuazione delle categorie beneficiarie di una serie di bonus, per i quali si è fatta prevalere l’istanza del rilancio dell’economia. Infine, sono emerse le necessità di nuove fattispecie di lavoro, in particolare quelle intermediate dalle piattaforme digitali, che richiedono nuove tutele e per le quali l’Inps, insieme a Inail, ha creato un sistema per poter garantire la platea sempre più ampia di gig workers.