A conclusione del progetto europeo SDHplus (solar-district-heating.eu), che ha visto Airu (Associazione italiana riscaldamento urbano) e il Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano impegnati per tre anni ad analizzare e promuovere l’adozione dell’energia solare termica come fonte integrativa per le reti di teleriscaldamento italiane, un articolo di Alice Denariè del Politecnico di Milano – Dip. di Energia, pubblicato sul sito di Airu (clicca qui), tira le somme di quanto emerso nelle varie fasi del progetto, soprattutto alla luce della situazione attuale del mercato dell’energia e della revisione delle normative e degli incentivi alle rinnovabili in corso.
Il 2 Marzo 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 16 febbraio 2016 che aggiorna il D.M. 28 dicembre 2012 del Ministero dello Sviluppo Economico, meglio conosciuto come Conto Energia Termico (CET), la cui revisione ha come obiettivo la semplificazione del decreto, al fine di promuovere ulteriormente l’utilizzo delle tecnologie rinnovabili termiche. Il ritardo accumulato è ormai superiore all’anno: la semplificazione del CET, infatti, è prevista dalla Legge 164/2014 e avrebbe dovuto concludersi entro il 31 dicembre 2014. Il decreto entrerà in vigore il 31 maggio 2016 e, alla luce di quanto descritto nel testo, si può iniziare a fare considerazioni su cosa comporterà.
Nello specifico, per il solare termico è previsto un nuovo meccanismo di incentivazione basato sulla producibilità del pannello, basandosi sul Solar Keymark, e viene estesa la superficie incentivabile dai 1.000 m2 ai 2.500 m2, in modo da favorire interventi di dimensioni maggiori.
Ambiente Italia, partner insieme ad AIRU del progetto SDH plus, ha svolto insieme ad SDHenergy, società che ha installato il primo impianto in Italia di solare termico in rete di teleriscaldamento, alcune simulazioni e ha analizzato l’impatto del nuovo sistema di incentivazione sulle installazioni di solare termiche (“Conto Termico 2.0: perché incentivi ridotti per il solare termico?” – pubblicato su qualenergia.it).
Alla luce di questa novità e a conclusione del progetto SDHplus, si vogliono qui presentare alcune considerazioni riguardo il potenziale del teleriscaldamento solare in Italia, dal punto di vista tecnico, economico ed urbanistico.
CONTESTO ITALIANO – OPPORTUNITÀ O BARRIERA. L’integrazione delle rinnovabili nelle reti di teleriscaldamento è riconosciuto a livello europeo come strumento per migliorare la sostenibilità finanziaria e ambientale della fornitura di energia su scala urbana. Il contesto in cui vive il teleriscaldamento italiano costringe gli operatori ad affrontare grandi cambiamenti e ciò può rappresentare un’opportunità per il solare termico. I sistemi di teleriscaldamento in Italia sono prevalentemente alimentati da combustibili fossili, con contributo limitato da rifiuti e rinnovabili e poco contributo da recupero di calore industriale, rischiando così di perdere parte del loro valore aggiunto in termini di efficienza energetica, risparmio di emissioni e convenienza economica. In secondo luogo, la riduzione dei consumi elettrici a causa della crisi dei consumi e delle misure di efficientamento, contemporanea alla forte crescita della quota delle rinnovabili elettriche, hanno cambiato il contesto di funzionamento dei sistemi di cogenerazione, su cui si basa la maggior parte delle reti italiane. I periodi di inattività dei sistemi cogenerativi sono sempre più lunghi, in particolare in estate, tanto che molte utility sono costrette a utilizzare antieconomici e inefficienti sistemi di back-up a fonti fossili, con effetto negativo sull’efficienza energetica, sull’impatto ambientale e sulla redditività economica di questi impianti. Di conseguenza, i gestori sono alla ricerca di una fonte più economica e sostenibile: il calore solare può sicuramente soddisfare queste esigenze, avendo per di più un costo di produzione stabile e indipendente dal mercato dell’energia.
Contestualmente, la direttiva europea sull’efficienza energetica recepita dal D. lgs. n. 102/ 2014, promuove il “teleriscaldamento efficiente”, un sistema che utilizza almeno il 50% di energia rinnovabile, il 50% calore di scarto, il 75% calore cogenerato o il 50% una combinazione di tali contributi. L’integrazione delle rinnovabili diventa quindi strumento di efficientamento e diversificazione delle fonti. In questo senso il solare può contribuire a rendere una rete più “efficiente”.
GLI INCENTIVI. Due fenomeni paralleli caratterizzano attualmente il sistema di incentivazione e rappresentano un’opportunità per il calore solare. Le forme di incentivazione più vecchie per i sistemi di cogenerazione da combustibili fossili si stanno esaurendo e, nel frattempo, il sistema di incentivi attuale, il CET, sovvenziona campi solari termici fino a 2.500 m2. Dopo aver analizzato alcuni casi di studio riferiti al periodo di validità della prima versione di conto termico, la superficie incentivata di 1.000 m2 sembra essere troppo grande per sistemi individuali, ma troppo piccola per avere un impatto significativo sugli impianti di teleriscaldamento. Tuttavia, secondo l’esperienza del progetto SDH, tenendo conto delle condizioni delle reti italiane, dei fabbisogni e della disponibilità di radiazione solare, una taglia più grande di campo solare (almeno di 5.000 m2) potrebbe essere davvero una soluzione interessante in termini di produzione di energia e di redditività economica, anche senza incentivo. Impianti di taglie simili, infatti, garantiscono una sensibile riduzione dei costi dovuta all’effetto scala.
L’INTEGRAZIONE NEL TESSUTO URBANO. Gli aspetti urbanistici sono fondamentali nel processo di progettazione e costruzione di un impianto solare termico per reti di teleriscaldamento: nella fase di progettazione, mentre si valuta la disponibilità di spazio e in fase di richiesta autorizzativa, i gestori devono interfacciarsi con l’ente locale per questioni urbanistiche. Il quadro legislativo promuove l’integrazione delle energie rinnovabili, ma trattare di energia solare significa parlare di spazi non facili da trovare in contesti urbani, se non adeguatamente considerati nelle sedi di pianificazione.
Per quanto riguarda il quadro normativo a livello nazionale e regionale, alcuni strumenti urbanistici sono a disposizione per la pianificazione di installazioni ad energie rinnovabili (PEAR, PAES per es.). Questi strumenti, in un contesto come quello italiano che manca di una vera e propria pianificazione energetica esecutiva a livello urbanistico, traducono gli obiettivi delle direttive europee su scala locale, ma mancano di misure concrete e strumenti su come raggiungere questi obiettivi. Dall’altra parte gli strumenti più propriamente dedicati alla pianificazione urbanistica ad oggi in vigore non forniscono normalmente indicazioni concrete in materia energetica. Ciò implica che impianti solari termici di grandi dimensioni incontrano alcune difficoltà nella fase autorizzativa, perché non sono espressamente considerati nei piani urbanistici. Al fine di ridurre il peso della volontà politica e personale nel processo decisionale che porta ad autorizzare questo tipo di interventi, esiste quindi la necessità di strumenti legislativi e linee guida che sostengano impianti solari su larga scala, in particolare installati a terra, e che uniformino la procedura autorizzativa.
Un primo passo fondamentale in questa direzione è quello che stanno intraprendendo alcune regioni e alcuni comuni coinvolti in progetti europei, ovvero la mappatura energetica del territorio locale, sia della domanda, sia del potenziale delle energie rinnovabili disponibili. Per ora quello che si trova per l’energia solare riguarda il fotovoltaico ed è una mappatura al negativo: alcune regioni, per frenare lo sviluppo irrazionale delle installazioni di fotovoltaico, si sono dotate di provvedimenti regionali che individuano zone con divieto di installazione per la tutela del suolo e del paesaggio.
Il solare termico per teleriscaldamento, rispetto ad altre forme di tecnologie rinnovabili (es. eolico), deve essere installato in prossimità di contesti fortemente antropizzati. Ad oggi la prima esperienza italiana di questo tipo, intrapresa a Varese, è confortante: la commissione paesaggio non solo si è espressa positivamente, ma ha anche decretato che l’intervento va a migliorare il contesto esistente.
I CASI STUDIO. Ciò premesso, l’analisi tecnico-economica dell’integrazione del solare termico nelle reti di teleriscaldamento in Italia è stata svolta attraverso l’analisi di 5 casi studio con la collaborazione di altrettanti gestori: in 4 casi è stata simulata l’integrazione in reti esistenti (in 3 casi con impianto solare centralizzato, in un caso con molteplici impianti solari di piccola taglia distribuiti sugli edifici collegati ai rami più periferici della rete), in un ultimo caso è stata simulata una sotto rete di nuova costruzione.
L’integrazione è prevista sulla linea di ritorno della rete in modo da beneficiare delle temperature minori.
Nei casi analizzati di integrazione di energia solare nelle reti esistenti la superficie di collettori simulata, pari a 1000 m2, è stata scelta poiché è la massima incentivabile. Considerando le alte temperature delle reti italiane, la produzione energetica dei campi solari simulati rientra nell’intervallo 300-500 kWh/m2 all’anno, per un’efficienza di 30-40%. Come è noto, infatti, la resa degli impianti solari migliora quanto più basse sono le temperature di ritorno ai collettori.
Con questa superficie la frazione solare, ovvero la quota di fabbisogno coperta da solare, è piuttosto limitata nei primi casi (1%) mentre diventa ovviamente più interessante a parità di superficie solare nel caso di rete più piccola (7%). Il costo di produzione solare è di circa 35-40 €/MWh a seconda dei casi, a scendere se si beneficia dell’economia di scala del campo. I calcoli dei casi studio sono stati fatti sulla massima superficie incentivabile dal vecchio conto termico. Come già detto però, aumentando notevolmente la taglia del campo solare, il prezzo a m2 di installazione solare diminuisce notevolmente, tanto da rendere l’investimento interessante anche senza incentivo. Esperienze in altri paesi europei come Danimarca, Germania e Austria, dimostrano come la frazione solare può salire fino al 20-25% (per quote maggiori è indispensabile pensare a un accumulo stagionale), che, se prevedono una fase di investimento iniziale più onerosa, comportano una riduzione dei tempi di rientro dell’investimento. I tempi di rientro calcolati per i casi studio italiani da 1000m2 sono di circa 10 anni in media: seppur non brevi, possono tutto sommato essere considerati interessanti e, come già detto, potrebbero diminuire significativamente con l’aumento della superficie di collettori. Dall’analisi del tempo di ritorno emerge anche come nell’economia di un progetto sia importante la disponibilità del terreno: nel caso A, per esempio, l’acquisto ipotizzato del terreno rende meno sostenibile l’investimento (PBT di poco inferiore a 20 anni). Il caso di solare distribuito (D) non rientra in tempi utili: i costi relativamente elevati di investimento per impianti di piccole dimensioni montati su tetto rendono l’investimento poco redditizio, nonostante i risparmi sulle perdite di rete siano notevoli (in estate i clienti più periferici vengono di fatto scollegati dalla rete, poiché gli impianti solari termici nella stagione calda arrivano a coprire l’intero fabbisogno).
Le principali questioni urbanistiche emerse durante l’analisi di questi casi studio sono legate alla disponibilità di spazio: in tutti i casi di impianti centralizzati è stato possibile trovare lo spazio necessario nei dintorni dell’impianto di generazione. Qualora si intendesse installare superfici molto maggiori, tuttavia, lo spazio disponibile in centrale termica non sarebbe sufficiente. Andrebbero in tal caso individuati terreni circostanti, spesso di proprietà delle autorità locali. Molte zone periferiche urbane, spesso caratterizzate dalla presenza di terreni inutilizzabili quali discariche interrate e fasce di tolleranza, dove non è ammessa alcuna edificazione, né la destinazione a verde pubblico, potrebbero essere potenzialmente adeguate ad ospitare impianti solari termici di grande taglia.
In conclusione, perché le reti di teleriscaldamento possano fregiarsi del titolo di “rete ad elevata efficienza”, è indispensabile una pianificazione urbanistica ed energetica integrata, che contempli l’uso di alcune tipologie di suolo a scopi energetici e che consideri l’approvvigionamento energetico non solo a livello di singolo immobile, ma dell’intera comunità urbana. Processo, questo, indispensabile soprattutto nei contesti urbani dotati di reti termiche.