Nella riunione del 20 maggio 2019, il Consiglio dei ministri ha deciso di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Puglia n. 5 del 28/03/2019, recante “Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)”, in quanto, riproponendo una norma già oggetto di impugnativa governativa, consente la realizzazione di alcuni interventi edilizi straordinari, in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, relativamente alla materia “governo del territorio”, e del principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Di seguito riportiamo le ragioni dell'impugnazione:
La legge regionale, che detta modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituisce il Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14), è censurabile, relativamente alle disposizioni contenute negli articoli 7 e 8, che, per i motivi di seguito evidenziati, si pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione e con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nella materia “governo del territorio” .
Si premette che il Governo, con deliberazione assunta nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2019, ha impugnato l’articolo 2 “Norma interpretativa del comma 1 dell’articolo 4 della l.r. n. 14/2009” della legge della Regione Puglia n. 59 del 17 dicembre 2018 per violazione del principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione e dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nella materia “governo del territorio” (ricorso n. 27 del 20.02.2019 – G.U. n. 16 del 17.04.2019 – Corte costituzionale).
Con la legge regionale in esame, si dispone, mediante l’articolo 8, l’abrogazione del predetto articolo 2 della L.R. n. 59 del 2018 e, contestualmente, a mezzo dell’articolo 7, l’inserimento, all’interno dell’articolo 4 della L.R. n. 14 del 2009, un comma 5-ter, non di carattere interpretativo ma di contenuto identico a quello di cui al suddetto articolo 2 della L.R. n. 59 del 2018.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, «la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore» (sentenze n. 56 del 2019, n. 238 del 2018; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 185, n. 171 e n. 44 del 2018). Nel caso di specie, si non sussisto no né l’una, né l’altra delle condizioni individuate dal Giudice delle leggi.
Al riguardo, con riferimento all’articolo 8, poiché non può escludersi che l’articolo 2 della L.R. n. 59 del 2018 abbia trovato medio tempore applicazione, restano impregiudicati i motivi alla base del suddetto ricorso n. 27 del 20.02.2019.
Inoltre, in relazione all’articolo 7, si rappresenta che tale disposizione potrebbe avere l’intendimento di mantenere in piedi gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto dell’impugnativa deliberata dal Consiglio dei Ministri e oggetto del ricorso n. 27 del 2019, poiché ponendosi senza soluzione di continuità rispetto alla precedente norma interpretativa, ora abrogata, potrebbe ragionevolmente e plausibilmente ritenersi applicabile anche ad interventi precedentemente realizzati.
Al riguardo, nella sentenza n. 89 del 2019, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “…«possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purché non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate» (ex multis, sentenza n. 103 del 2018, punto 4.1. del Considerato in diritto). Nel giudizio in via principale possono dunque essere dedotte «anche le lesioni in ipotesi derivanti da distorsioni interpretative delle disposizioni impugnate» (sentenza n. 270 del 2017, punto 4.2. del Considerato in diritto).”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, con riferimento all’articolo 7 della L.R. in oggetto, si intendono qui integralmente richiamati tutti i motivi di impugnativa esposti nel più volte citato ricorso n. 27 del 2019.
Invero, la disposizione in questione non sembra potersi ritenere satisfattiva perché nella sostanza riproduce la stessa norma impugnata, «legittimando conseguentemente il trasferimento della relativa impugnazione» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 181 del 2013), dovendosi, altresì, rilevare che la normativa all’esame appare costituire ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 199 del 2012).
Seppure, infatti, non si assista più , formalmente , ad una norma di interpretazione autentica, la circostanza per cui vengono dettate prescrizioni del tutto innovative, prevedendo che gli interventi edilizi consentiti dalla legge regionale del 2009 possano essere realizzati anche “ anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all'interno dell'area di pertinenza” ripropone le questioni di legittimità già evidenziate nei confronti della norme contenuta nella l.r n. 59/2018.
Come noto la legge regionale n. 14/2009 ha dettato norme di carattere straordinario con le quali sono stati consentiti interventi edilizi anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, pertanto una disposizione di carattere innovativo circa gli interventi assentiti, di sicura portata retroattiva, appare censurabile. Come affermato dalla Corte Costituzionale ( sent. n. 73/2017) infatti la deroga al principio della irretroattività delle norme trova il suo fondamento nel principio di ragionevolezza: “ La erroneità della auto-qualificazione delle norme impugnate come interpretative costituisce…. un primo indice…., della irragionevolezza del loro retroagire nel tempo, ulteriormente corroborato dalla constatazione che le stesse introducono innovazioni, destinate, per lo più, ad ampliare facoltà in deroga ai relativi strumenti urbanistici, peraltro non necessariamente in termini di logica continuità con il quadro generale di riferimento sul quale le stesse sono destinate ad incidere” .
La previsione regionale in parola ha un indubbio carattere innovativo, con efficacia retroattiva, e rende legittime condotte che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore, con l’ulteriore conseguenza di consentire la regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo, in definitiva, ad una surrettizia ipotesi di sanatoria straordinaria che esula dalle competenze regionali e risulta pertanto illegittima.
Peraltro, si rappresenta che in ragione dell’intervenuta emanazione del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, ancorché successiva alla pubblicazione della L.R. in oggetto, la disposizione di cui all’articolo 7 della L.R. in esame si pone in evidente contrasto (sopravvenuto) con la disciplina di principio nella materia “governo del territorio”, di cui all’articolo 117, terzo comma, Cost., contenuta nel predetto D.L., il quale, all’articolo 5, comma 1, lett. b), nell’introdurre il comma 1-ter all’interno dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, stabilisce che “In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.”
Per i motivi sopra specificati la legge regionale, limitatamente alle norme richiamate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.