“Una norma, riguardante gli interventi sugli edifici storici, si pone in contrasto con le norme del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, e viola pertanto sia l’articolo 9, secondo comma, della Costituzione, che sancisce la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, sia l’117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dei beni culturali”. È questa una delle ragioni per le quali il Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2019 ha impugnato alla Consulta la legge della Regione Sicilia n. 24 del 16/12/2018, recante “Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie”.
L'art. 3 comma 9 della legge regionale in questione apporta due modifiche alla legge n. 13/2015, recante: “Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici”.
E’ necessario premettere che tale legge regionale (n. 13/2015) contiene una (nuova) definizione delle tipologie edilizie dei centri storici (articolo 2) e prevede che ciascuna amministrazione comunale provveda ad individuare (con effetti costitutivi) l'appartenenza delle singole unità edilizie esistenti a ciascuna tipologia (definita dall'articolo 2) mediante uno studio di dettaglio dell'intero centro storico promosso dall'ufficio tecnico comunale (articolo 3).
L'integrazione, all'art. 1, comma 2, del periodo 'salvo l'obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti" dispone un completo superamento delle norme per le zone territoriali omogenee A - centro storico, ai sensi decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che sono state invece fatte salve dalla legge del 2015, nel caso in cui contrastassero con i contenuti degli “studi di dettaglio", le cui procedure di individuazione sono previste dall'articolo 3 della legge medesima.
Allo stesso articolo 3 della legge n. 13 del 2015 è poi aggiunto il comma 5-bis del seguente tenore: “Nel caso in cui l'amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all’intero centro storico, è data facoltà al soggetto che intende effettuare interventi in conformità ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o più unità edilizie, con l'obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1.” Tale comma consente la parcellizzazione in stralci dello studio di dettaglio, vanificando l’obiettivo di elaborare in forma organica per l'intero centro storico criteri omogenei per l'individuazione delle tipologie - e conseguentemente degli interventi possibili - , peraltro consentendo di far coincidere non solo con un comparto territoriale (ad esempio un isolato), ma addirittura con una sola unità edilizia, il minimo stralcio possibile che il proponente di un intervento può sottoporre all'iter di approvazione.
La decisione sui piani o gli stralci presentati resta demandata alla conferenza dei servizi prevista al comma 1 dello stesso articolo 3, nell'ambito della quale tuttavia, alla luce della nuova normativa in materia, il parere della Soprintendenza potrebbe risultare minoritario. Inoltre, dal tenore del nuovo comma 5-bis, che fa riferimento anche agli "interventi", non è chiaro se la conferenza - esclusivamente finalizzata nel preesistente comma 1 alla espressione di parere in merito all'appartenenza delle singole unità edilizie alle categorie dell'art. 2 - autorizzi anche questi ultimi.
In ogni caso viene affidata all'iniziativa del privato la proposta di attribuzione di tipologie edilizie che in alcuni casi, per esempio in quello dell'edilizia che venisse classificata come "non qualificata" o "parzialmente qualificata" potrebbero comportare categorie di interventi molto impattanti, fino alla demolizione, senza che sia prevista l'autorizzazione da parte della Soprintendenza (cfr. art. 4, comma 1 lettera f), e, in virtù della modifica sopra esposta del comma 2 dell'articolo 1, anche in deroga alle norme precedentemente in vigore per le zone A.
Le modifiche normative proposte si pongono, dunque, in contrasto con quanto disposto dagli articoli 134, 136, 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di tutela dei centri storici, in quanto aree di notevole interesse pubblico il cui valore paesaggistico deve essere salvaguardato tramite le procedure autorizzatorie previste dalla normativa vigente. Il combinato disposto degli articoli 134, 136, 146 del Codice, chiarisce, oltre ogni ragionevole dubbio, che i centri storici (intesi come unico organismo edilizio e non come sommatoria di edifici di diverso valore): sono beni paesaggistici in quanto aree di notevole interesse pubblico; non possono essere oggetto di interventi che rechino pregiudizio al valore tutelato; per questa ragione ogni intervento deve essere preventivamente autorizzato dall'amministrazione a cui compete in via esclusiva la verifica sulla sua compatibilità e quindi in Sicilia la competente Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali.
Le modifiche introdotte dalla normativa regionale rendono possibile intervenire su tali aree in modo difforme rispetto a quanto precedentemente pianificato e autorizzato dalla Soprintendenza. Si prevede, infatti, che queste modifiche prevalgano pure sui piani già vigenti nei centri storici. Quindi ad oggi si potrà intervenire in modo difforme rispetto a quanto precedentemente pianificato dal comune e autorizzato dalla Soprintendenza in conformità alle disposizioni nazionali ante LR 13/2015.
Grave e pregiudizievole, per la corretta pianificazione e tutela del bene culturale "centro storico", è che gli interventi di pianificazione attuativa per la realizzazione degli interventi di trasformazione possono essere redatti dai privati e per singole unità abitative, facendo venir meno quel necessario approccio unitario (metodologico e valutativo) sul "bene culturale unitario centro storico" ed invertendo la gerarchia degli interessi e delle potestà di governo del territorio.
Per le ragioni sopra esposte, si ritiene necessario impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge n. 24 del 2018, limitatamente alle disposizioni relative all'articolo 3, comma 9, che apportano modifiche all'articolo 1, comma 2 e all'articolo 3 (con l'inserimento del comma 5-bis) della legge n. 13 del 2015, per violazione dei parametri interposti di legittimità costituzionale di cui alle norme citate del decreto legislativo n. 42 dei 2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio, norme qualificabili come «norme di grande riforma economico-sociale», che si impongono anche alle regioni dotate di autonomia speciale.
La disposizione regionale, pertanto, viola l’articolo 9, secondo comma, della Costituzione che sancisce la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione e l’117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dei beni culturali.
Le disposizioni regionali si pongono, peraltro, in contrasto con gli stessi limiti dettati dallo Statuto Regionale R.D. L.vo 15 maggio 1946 n. 455, convertito nella Legge Costituzionale 26 febbraio 1948 n.2, ed in particolare con l'art. 14; tale disposizione, infatti, pur contemplando alla lett. f) “l'urbanistica” ed alla lett. n) la "tutela del paesaggio" tra le materie di potestà legislativa esclusiva della Regione, precisa che dette attribuzioni sono esercitate "nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato”.