Sentenze

La Consulta boccia la riforma degli appalti della Sicilia

Avendo disciplinato la materia in difformità rispetto al vecchio Codice appalti, la Regione Sicilia ha violato i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei lavori pubblici

mercoledì 14 dicembre 2016 - Redazione Build News

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Con la sentenza n.263 depositata oggi (vedi qui in allegato), la Corte Costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6, della legge della Regione siciliana 12 luglio 2011, n. 12 (Disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Recepimento del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni), come sostituito dell’art. 1 della legge della Regione siciliana 10 luglio 2015, n. 14 (Modifiche all’articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12).

Inoltre, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, della legge della Regione siciliana n. 12 del 2011, come introdotti dalla legge della Regione siciliana n. 14 del 2015.

IL RICORSO DEL GOVERNO. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione siciliana 10 luglio 2015, n. 14 che, modificando l’art. 19 della legge della Regione siciliana 12 luglio 2011, n. 12 sino al 31 dicembre 2015, sostituisce il comma 6 e inserisce i commi 6-bis, 6-ter e 6-quater.

Secondo Palazzo Chigi le norme impugnate violano l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, perché regolano alcuni aspetti della disciplina delle offerte anomale e dei contratti sotto la soglia di rilevanza comunitaria in maniera difforme dal vecchio Codice appalti (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), così violando l’art. 14, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), che, anche se attribuisce alla Regione siciliana la competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici, l’assoggetta comunque ai limiti fissati dalle leggi costituzionali dello Stato.

LA CONSULTA: DIFFORMITÀ RISPETTO ALLE NORME DEL CODICE. Dando ragione al Governo nazionale, la Consulta ha dichiarato che “Alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni impugnate, avendo disciplinato istituti afferenti alle procedure di gara in difformità dalle previsioni del codice dei contratti pubblici, sono costituzionalmente illegittime per avere violato i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei lavori pubblici.”

NESSUN VUOTO NORMATIVO. La Corte costituzionale ha aggiunto che “la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate non comporta alcun vuoto normativo, trovando applicazione la disciplina dettata in materia dal codice dei contratti pubblici (sentenza n. 114 del 2011)”.

Va ricordato che successivamente alla proposizione del ricorso è intervenuta la legge della Regione siciliana 17 maggio 2016, n. 8 (Disposizioni per favorire l’economia. Norme in materia di personale. Disposizioni varie), entrata in vigore il successivo 24 maggio, la quale, all’art. 24, comma 2, ha disposto l’abrogazione (anche) dell’art. 19 della legge della Regione siciliana n. 12 del 2011.

Secondo il costante orientamento della Consulta, «perché possa essere dichiarata cessata la materia del contendere, devono congiuntamente verificarsi le seguenti condizioni: a) la sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (ex plurimis, sentenze n. 32 e n. 16 del 2015, n. 87 del 2014, n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012, n. 325 del 2011)» (sentenza n. 149 del 2015).

Nel caso di specie, osserva la Corte costituzionale, “è evidente la ricorrenza della prima condizione, stante l’abrogazione della disposizione che conteneva le norme introdotte dal censurato art. 1 della legge della Regione siciliana n. 14 del 2015.

Con riferimento ai commi 6, 6-bis, e 6-ter, regolanti alcuni aspetti della verifica di anomalia delle offerte, la cessazione deve tuttavia escludersi per assenza della seconda condizione, dal momento che il non breve lasso temporale di vigenza delle norme (oltre 9 mesi) e la loro fisiologica incidenza su tutte le procedure di gara bandite sull’intero territorio regionale (quanto al comma 6-ter), ovvero su tutte quelle sotto la soglia di rilevanza comunitaria (quanto ai commi 6 e 6-bis), ne fanno presumere l’applicazione.”

La Consulta ha precisato inoltre che “La cessazione deve escludersi anche con riferimento al comma 6-quater, il quale rimette a un decreto assessoriale la fissazione delle «modalità di verifica per la congruità dell’offerta e le eventuali ulteriori disposizioni per la valutazione della corrispondenza fra le previsioni formulate in sede di verifica di congruità dell’offerta e l’esecuzione delle opere».

Nonostante i tempi di adozione di un decreto a elevato contenuto tecnico possano, secondo l’id quod plerumque accidit, non essere brevissimi, in assenza di deduzioni dell’unica parte costituita in giudizio e in presenza di un lasso temporale comunque apprezzabile, non è infatti consentito presumere la mancata applicazione della norma (sentenza n. 16 del 2015).”

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